Pubblicato il: 5 Maggio, 2009

A proposito di fannulloni…

fannulloniDa un po’ di tempo a questa parte si fa un gran parlare di “fannulloni” riferendosi, essenzialmente, al settore del pubblico impiego, come se tutti gli scansafatiche del nostro Paese “dimorino” nella pubblica amministrazione. Convinto assertore dell’assioma “fannullone uguale dipendente pubblico” è soprattutto il prof. Renato Brunetta, ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione nell’attuale governo Berlusconi. A ben vedere il professor Brunetta – ordinario di economia del lavoro nell’università degli studi di Roma, Tor Vergata – riprende, rinvigorendolo, un tema “antico”, di facile presa sui cittadini. Il ministro dimostra d’essere abile ben sapendo che su un argomento tanto “sensibile” è facile acquisire il consenso dell’opinione pubblica adottando o preannunciando misure rigorose, più o meno valide, per eliminare o, quanto meno, ridurre la palese inefficienza delle strutture pubbliche. Fermo restando che soprattutto i servizi pubblici nel nostro Paese sono palesemente scadenti, come dimostrano le vicende di cui quotidianamente veniamo a conoscenza, c’è da chiedersi se, effettivamente, la figura del fannullone sia “congenita”, come parrebbe voler dimostrare una certa corrente di pensiero tendente ad una “aziendalizzazione” spinta della pubblica amministrazione sulla falsariga di modelli privatistici, o se, piuttosto, tale figura non sia altro che il risultato di un sistema ibrido pubblico-privato, senza connotati precisi e spesso di per sé inadeguato a risolvere le numerose e complesse problematiche dell’amministrazione statale, ai cui vertici sono collocati soggetti il più delle volte inadeguati. Il fatto è che come afferma Tito Michele Boeri, noto docente presso l’Università Bocconi di Milano, il nostro Paese è afflitto dal problema “di avere troppi manager che vengono premiati solo per la loro fedeltà alla proprietà, pagati e confermati indipendentemente da come vada l’azienda, in base solo alla loro capacità di eseguire le disposizioni della proprietà”. Sia pure con i dovuti adattamenti le considerazioni del prof. Boeri possono essere riferite a certi apparati pubblici i cui tecnocrati vengono nominati soprattutto in base all’appartenenza politica o sindacale. Credo si possa sostenere che il famigerato “fannullone”, ad eccezione dello “scansafatiche endemico” che va, comunque, tenuto a bada e punito, non appartenga ad una specie congenita di nullafacenti ma sia, piuttosto, il prodotto o risultato d’una classe dirigente, incapace e protetta, mera esecutrice delle disposizioni del gran capo (politico o sindacalista) di turno. Si tratta di una schiera di individui che potrebbero essere inquadrati, secondo un noto modello sciasciano, nella categoria degli “ominicchi” o in quella dei “quaquaraquà”. Ne consegue un non fare, un quieto vivere, un lassismo che parte dall’alto e si riverbera a cascata su tutto il personale. Vivi e lascia vivere. Se qualcosa non va è colpa del “fannullone”, capro espiatorio ideale.

Irene Stumpo

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