Pubblicato il: 18 Febbraio, 2009

Alex è ancora cinebrivido

alex– Zio voglia che morite ammazzati, luridi lezzoni. Dove sono gli altri? Dove sono quei traditori fetenti? Uno di quei fottuti soma mi ha mollato la cricchia sui fari. Pigliateli prima che la battano. È stata tutta un’idea loro fratelli. Sono innocente. Che Zio vi scanni – . Era il 1962 quando in Gran Bretagna uscì il romanzo A Clockwork Orange di Anthony Burgess; il 1969 quando venne pubblicato per la prima volta in italiano col titolo Un’arancia a orologeria; il 1971 quando il libro venne trasformato in capolavoro cinematografico da Stanley Kubrick, a noi noto con il titolo Arancia Meccanica. Tanti anni sono passati da quelle date, ma certe opere sono eterne. Parlo di entrambe perché, come lo stesso Burgess ha riconosciuto, romanzo e film hanno rappresentato un caso di complementarietà tra diversi linguaggi artistici. Chi ha letto il romanzo e visto il film capirà concretamente cosa intendo. Per chi si facesse domande sul significato del titolo, Burgess diede una spiegazione semplice e spiazzante che ci incuriosisce per il sapore di “vissuto” che ci dà: “Nel 1945, al ritorno dal fronte, in un pub di Londra ho sentito un cockney ottantenne dire di qualcuno che era – sballato come un’arancia meccanica -. L’espressione mi incuriosì per la stravagante mescolanza di linguaggio popolare e surreale”. In un mondo che continua ad essere violento senza mai smentirsi, parlare di queste opere non è per nulla fuori moda. La violenza e l’aggressività scorrono nelle vene di ogni uomo e se cosi non fosse l’uomo non sarebbe uomo. L’umanità ha bisogno della violenza per sopravvivere, ma nessuno ammetterebbe mai questa verità per se stesso. Eppure Alex incanta e affascina.. perché? La risposta l’ha data Stanley: Alex, a livello onirico e simbolico […], rappresenta l’inconscio. L’inconscio non ha coscienza. Nel proprio inconscio, ciascuno di noi uccide e violenta. Chi ama il film avverte questa sorta di identificazione; l’ostilità di chi lo detesta nasce dall’incapacità di accettare chi si è realmente […]. La storia è molto intrigante e geniale, il protagonista è Alex un giovane teppista che celebra ogni sera l’ultraviolenza, per sua libera scelta; questa parabola vuole affermare che “è preferibile un mondo di violenza assunta scientemente a un mondo programmato per essere buono e inoffensivo”. È una storia sul libero arbitrio e sulla sua tragica importanza. La trama è caratterizzata sia nel film che nel romanzo, da una simmetria di situazioni tra la parte iniziale e la parte finale che non sarebbe possibile in una vicenda reale o in una storia realista e questa è la trovata più geniale secondo me, perché l’opera assume la peculiarità di un percorso simbolico e mitico. Mitico è anche il suo vocabolario colorito e arguto, mitiche sono le sue imprese e mitico è il suo amore per Beethoven e l’ultraviolenza. Mitico è Alex.

Elena Minissale

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