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Atenei in rivolta: l’università ai tempi della crisi

Il locale scelto per l’intervista è nel centro storico di Bologna. Uno di quei posti, all’interno della zona universitaria, in cui gli studenti si ritrovano dopo le lezioni per un caffè, uno spuntino veloce, un aperitivo. C’è musica in sottofondo e una partita sugli schermi. Laura, Cecilia e Sara- le prime due iscritte alla facoltà di scienze politiche, la terza a lingue e letterature straniere- soddisfano subito la mia curiosità riguardo alla nascita di Atenei in Rivolta, il gruppo studentesco che aveva attirato la mia attenzione sulle pagine di Facebook.
Atenei in rivolta è una rete di collettivi a livello nazionale. Sette le città coinvolte: Bologna, Roma, Milano, Bari, Firenze, Reggio Calabria e Trento. Questa rete è nata dopo il movimento studentesco del 2008,  L’onda, come critica di alcune dinamiche che si erano instaurate in quel momento. I gruppi che la costituivano soffocavano la partecipazione degli studenti: le decisioni sulle assemblee, sulle manifestazioni, sulla loro direzione, venivano prese solo da loro. Invece, secondo noi, la partecipazione deve essere aperta a tutti gli studenti e le studentesse che vogliono far qualcosa, e non focalizzarsi su dinamiche di potere.

Quali sono le iniziative che promuovete?

Questo è un discorso un po’ complesso– risponde Laura.– In realtà in questi anni abbiamo affrontato diversi periodi storici ed economici: nel 2008 si protestava contro una riforma del governo Berlusconi (legge n.133 del 6 agosto 2008 e n.169 del 29 ottobre 2008 per la riduzione del Fondo per il Finanziamento Ordinario, ndr ) ma la crisi e gli attuali cambiamenti ci stanno imponendo di guardare oltre le riforme universitarie e quindi a prendere parola su alcune ingiustizie che si stanno perpetrando, giustificate dalla “crisi”. Continuiamo comunque a promuovere il diritto allo studio, organizziamo campagne contro l’aumento delle tasse universitarie e la privatizzazione dei servizi. Siamo studenti ma anche lavoratori; alcuni di noi hanno lasciato purtroppo l’università, o fanno fatica  a frequentarla, e siamo stati costretti a volgere lo sguardo verso il mondo del lavoro.
Siamo nati solo da un anno qui a Bologna.– spiega Cecilia- Non abbiamo ancora promosso per questo moltissime iniziative; siamo un collettivo universitario ma l’intenzione è di mantenere i contatti con altre parte sociali. Per esempio abbiamo sostenuto e continuiamo a seguire il referendum sull’acqua, “Acqua bene comune”, coinvolgendo gli studenti. Un’altra iniziativa realizzata è stata contro gli affitti in nero, perché con il precedente governo un decreto permetteva di denunciare il proprietario, ottenere un contratto e agevolare così la legalità. Abbiamo parlato del debito– interviene Laura- con la proiezione di un documentario per capire come sia stato creato. Stiamo cercando di avere una visione complessiva dei cambiamenti che la crisi impone.

Come vedete l’università, voi che la vivete dall’interno?

L’università é dequalificata– risponde Laura con amarezza.-Dovrebbe darti degli strumenti per entrare nel mondo del lavoro o per osservare criticamente ciò che ti circonda, invece non ti dà nulla. Arrivi al “pezzo di carta”, che sembra ormai obbligato, attraverso diverse restrizioni. Non ci sono ormai spazi di socializzazione; serve il badge per andare ovunque: sta diventando un luogo chiuso, non di dibattito, dove pensare solo a se stessi e a passare gli esami.

C’è qualche professore che vi appoggia o ha espresso solidarietà nei vostri confronti?

Avevamo dei contatti– raccontano.- Quando i ricercatori hanno bloccato l’università (contro la riforma Gelmini, ndr), abbiamo interloquito anche con loro. Il mondo degli studenti e dei professori o dei ricercatori sono comunque diversi e distanti. Loro si scontrano con altri problemi e fanno fatica ad esporsi. Soprattutto i ricercatori, che sono precari.

E cosa pensate di questo famoso “ mondo del lavoro” che vi aspetta?

Non sono ancora riuscita a farmi un’idea precisa– confessa Cecilia, abbozzando un sorriso. – Ho iniziato il primo anno della specialistica quest’anno, quindi sono tranquilla: non so ancora cosa succederà.
Io in estate lavoro, sono lavoratrice stagionale– precisa Laura.- Ho accettato qualsiasi cosa, anche occupazioni in nero a cinque euro l’ora. Oggi, per esempio, ho fatto diverse domande in internet: come impiegata, bidella, receptionist…e non ti chiamano. E’triste pensare che abbia speso soldi e fatica, per  una laurea triennale, e per giungere poi a quale prospettiva?

Cecilia: E’una situazione frustrante perché sappiamo già che andremo incontro a difficoltà enormi.
Laura: Ciò che mi spaventa di più è la precarietà, perché ti prende a 360 gradi. Non sai mai fino a quando potrai lavorare, se ti rinnoveranno il contratto, e una vita in questi termini diventa difficile.
Cosa vorreste chiedere all’università e al futuro, se poteste “esprimere un desiderio”?
Cecilia: Ce ne sarebbero tanti…Io partirei dalla didattica, che credo sia il punto debole della nostra università. E’ancora troppo “impostata”, vorrei fosse più aperta e avesse maggiori strumenti di critica.
Laura: Da un punto di vista pratico, io direi: più servizi, tasse più basse, agevolazioni maggiori per gli studenti come la mensa, i trasporti…Per quanto riguarda il lavoro, sarebbe bello eliminare la precarietà!Bisognerebbe che tutti avessero uguali diritti. Abbiamo avuto la dimostrazione, in questi anni, che l’idea di un’iniziale flessibilità, per poi arrivare alla stabilità, è fallita: è inutile che continuino “a raccontarcela”.

Mariangela Celiberti