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Bomarzo: i giardini dei mostri sacri

Dove il sogno cede il passo all’incubo, la Tuscia. E’ una terra magica, dove mostri di pietra riposano a guardia di antiche memorie. Mura, palazzi, castelli, borghi medievali e giardini. Dove l’incubo si scioglie e cede il passo al sogno. Un claudicante gioco di consegne.

Bomarzo è in un anfiteatro naturale, un Bosco Sacro dove si può girovagare fino a tardi, fino a perdersi quando le ombre dei mostri si proiettano sugli anfratti rocciosi. Le insegne recitano Villa delle meraviglie o Bosco Sacro. Che sia incubo o sogno? Di certo un universo sospeso da sgranare a bocca socchiusa come un rosario, per spalancarsi di fronte all’epifania dei guardiani dalle viscere della terra. Sotto una coltre di muschio, eccoli, Ercole, Nettuno, La Sirena e gli altri. Stanno lì ad osservarti con sguardo fisso e ieratico. Eracle squarcia Caco, la bella è recumbante sul manto erboso, l’orco apre la bocca degli inferi per sollazzare gli ospiti in un picnic, draghi lottano mentre una miniatura del castello cinge come una corona il mappamondo.

Li volle Francesco Orsini nel ‘500 «per sfogare il cuore», li rubò alla pietra brulla Pirro Logorio, successore di Michelangelo a San Pietro. Il parco venne dedicata alla moglie di Orsini, Giulia Farnese, che morì in giovanissima età. Se il sonno della ragione genera mostri, l’amore, si sa, di logico ha ben poco, e quei mostri dell’amore segnano il trionfo.

Come per prodigio se ne stanno ancora lì, non li hanno vinti tempo e intemperie. Dopo la morte di Orsini furono dimenticati per tre secoli e riposarono in silenzio. Fino alla riscoperta del Surrealista Dalì, che in quel bosco colse l’intuizione sottile, il confine tra vita e morte, tra sogno e incubo.

Straordinario e surreale.

Un inno alla vita pagano in una sorta di strana chiesa in cui non è concesso cogliere l’entità delle proporzioni, in cui la natura sembra insignificante e sopraffatta. Quanto costa perdersi? Circa nove euro. Ma non intendevamo il costo materiale. Ci si riferiva a quello affettivo, a quello emotivo. Come recita un’incisione ai piedi della Sfinge di guardia all’ingresso del parco, chi entra qui ha solo da chiedersi se tante meraviglie siano state fatte per inganno o per arte. Ma proprio nel domandarselo inizia lo smarrimento, una discesa orfica tra le fauci di un demone di pietra.

Un perfetto viaggio dantesco in cui Beatrice aspetta, chissà cosa poi, vicino ad una dozzina di fiere e presenze sulfuree.  In una Spoon River di roccia che catturò secoli fa il mito.

Luca Colnaghi