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Catania su un vulcano speculativo

Non più tardi di qualche anno fa, “Etna Valley” era un polo industriale d’eccellenza. Ora STM preferisce investire in Nord- Europa, dirottandovi i capitali necessari al completamento di M6. Sotto il vulcano, resta l’incertezza occupazionale per quattromila lavoratori. Se il loro destino è appeso all’accordo con Enel e Sharp, Catania affronta la tormenta della crisi economica internazionale con due punti fermi: disoccupazione giovanile al 45% e seimila precari, pronti a perdere il posto entro l’anno. In siffatto contesto produttivo, i grandi operatori nazionali di Teleselling e quelli locali, sembrano ormai farla da padroni. Sono circa quaranta le imprese attive nel settore, perlopiù di dimensioni ridotte. Oggi le piccole aziende lanciano una sfida alle realtà più strutturate, all’insegna della competizione al ribasso, su salari e vincoli d’impresa. L’assenza d’ispezioni, garantita dalla circolare 25/08 del Ministero del Welfare, costituisce la fortuna degli operatori siciliani. È il caso di “MedyEtnea”, call center controllato dal gruppo ragusano “Medy”: quaranta lavoratori, tutti impiegati con contratti a progetto, Team Leader compreso. Erano sottoposti a turni di lavoro e costretti a prestare “straordinari” non pagati, sotto il ricatto della “clausola di preavviso”. Niente ispezioni fino al mese scorso, quando il call center ha cessato le attività, lamentando il mancato pagamento delle commesse. I dipendenti hanno occupato la sede, prima di tornare a casa senza le spettanze arretrate. È solo l’ultimo caso di fallimento, finito al vaglio della magistratura. Non è raro che gli operatori ritornino sul mercato dopo pochi mesi, sotto altro nome. L’alta mortalità delle imprese del terziario è ormai un fattore sistemico dell’economia etnea. Forse per questo, non si fanno mancare nulla.

“In Linea” posticipa di cinque mesi i pagamenti e taglia le provvigioni sulle vendite, nonostante la committenza onori gli impegni. Per non parlare di “Alice Network”, che svolge inchieste telefoniche per conto dell’ISFOL. L’azienda ha ridotto le retribuzioni da cinque euro a tre e settanta centesimi l’ora. I lavoratori prestano servizio outbound, presentandosi come dipendenti di un ente pubblico che collabora col Ministero del Lavoro, ma guadagnano meno di una badante. È un circuito che investe le realtà maggiori. “Almaviva”, primo operatore nazionale, versa in una grave situazione debitoria, da cui la filiale catanese è ancora al riparo. Altro affare è la concorrenza: Marco Tripi, amministratore delegato del gruppo, è giunto a minacciare licenziamenti, a causa del dumping dei call center siciliani.”Almaviva” impiega a Misterbianco un centinaio di lavoratori a somministrazione, tra gli ottocento dipendenti del sito. Molti non vedranno rinnovati i contratti, mentre per decine di collaboratori c’è il blocco dei rinnovi. Eppure, la filiale aumenta le commesse, con Enel, Sky e Vodafone. La circolare Sacconi favorisce dinamiche di sfruttamento e speculazione, contribuendo a frammentare il tessuto produttivo etneo. È il business del sottosviluppo

Enrico Sciuto