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Comunità Casa del Giovane

Una vita spericolata: un eufemismo, una “semplicizzazione” che non aiuta a venire a capo del problema; un’esistenza bruciata, calpestata, eppure quanti giovani in quel “voglio una vita spericolata” hanno trovato un inizio senza più fine, senza più arrivo, l’illusione di una meta raggiunta quando invece si trattava di un punto di partenza. Con l’imprudenza di una canna, il respiro attraente di una sniffata, un’alzata di spalle alla pazienza e un palcoscenico virtuale, scompaiono i valori importanti, la fiducia in se stessi e negli altri. Alla Comunità Casa del Giovane vengono a trovarci studenti, associazioni, esperti e uomini politici, è nostra consuetudine svolgere un tour negli spazi adibiti a laboratori, nei corridoi delle strutture di nuova generazione, accompagnando gli occhi e il cuore verso dimensioni umane che occorre ritrovare, non solo nei riguardi degli utenti ospitati, ma anche di coloro che intendono crescere insieme attraverso una presenza utile e dignitosa. Quando la realtà soccombe all’immaginazione e l’incredulità non consente sollievo, l’impatto con la scoperta di avere un figlio preso in mezzo dalla violenza esercitata da un bullo, dal gruppo dei pari che ricerca emozioni forti, rompendo e distruggendo, senza disporre di alcuna uscita di emergenza, è proprio nelle stanze della Casa del Giovane che sovvengono alcune risposte mancanti, interrogandoci sull’ascolto di storie clandestine che sottovoce raccontano di un giorno vissuto svogliatamente, nell’annullamento di ogni più intimo colloquio, di ogni sofferenza e di ogni salita da affrontare. Forse non sono più sufficienti i tanti cinque in condotta di cui sentiamo parlare, le sospensioni e le sanzioni comminate, per rendere plausibile il valore della civicità e dell’educazione. Adesso è giunto il momento di alzare il viso e lo sguardo in alto, nei riguardi di un mondo giovanile sempre più inondato di notizie e sempre meno consapevolizzato, sempre più spintonato verso un mercato delle deleghe e dei diritti acquisiti senza sudore. Di fronte ad un giovanissimo che sceglie di curare il proprio delirio di onnipotenza con la droga, davanti al gruppo schierato a difesa del fortino che non c’è, con il freddo di una lama tra le dita per tenere lontano il mondo percepito come avversario da odiare e colpire, sarà bene non rimandare un intervento educativo che ricomponga un equilibrio, riporti ordine nella relazione da mantenere e custodire. È auspicabile invitare le nuove generazioni a mettere il naso e i piedi nei corridoi di una comunità per rendersi conto che la realtà è che la persona incontra la droga perché spinta da qualcuno a consumarla, e che non esiste droga come esperienza positiva in una botta di nulla. Nei silenzi di questa comunità è intenso l’incontro con la riemergenza dalle situazioni più difficili e superficialmente definite senza speranza.

Vincenzo Andraous