Cope: volontariato come scelta di vita
Nancy D’Arrigo è una giovane catanese, partita come volontaria in Tanzania nel 2004 per vivere l’esperienza di un campo estivo, ma da allora si è innamorata di quel lavoro, di quei sorrisi e di quella terra. Adesso rappresenta l’organizzazione per cui lavora nel paese africano e coordina le attività del team del volontari.
– Cos’è il Cope e quando nasce?
Il COPE è un’organizzazione non governativa di cooperazione allo sviluppo, nata a Catania nel 1983, e dal 1988 riconosciuta ONG dal Ministero degli Affari Esteri. Si lavora in Italia soprattutto a livello di educazione allo sviluppo, nella logica del cambiare il nord per aiutare il sud, lavorando molto con le scuole e la cittadinanza attiva. All’estero siamo presenti attualmente in Tanzania, Guinea Bissau, Madagascar e Perù con progetti in ambito sanitario, sociale, educativo ed agricolo.
– Quando e come hai cominciato a lavorare per il Cope?
Ho conosciuto il Cope durante le mie ricerche per la tesi, poi ho iniziato a partecipare come semplice volontaria a tutte le attività Italia. Dopo la laurea ho partecipato al primo campo lavoro in Tanzania nel 2004 e dopo un periodo di volontariato full time (nel 2006) per le attività di educazione allo sviluppo in Italia, sono partita in Servizio Civile per un anno, ad ottobre 2006. A conclusione di questo il COPE mi ha chiesto di rimanere per seguire tutti i progetti come coordinamento amministrativo, e non solo, con un’attenzione particolare ad un progetto finanziato dalla nostra Cooperazione Italiana MAE, nel sud della Tanzania. Un bel progetto di formazione e supporto ai giovani agricoltori della provincia di Songea.
– Che tipo di percorso di studi è necessario per lavorare in una ONG?
Io sono laureata in Scienze Politiche indirizzo Internazionale, ma per partire vanno bene veramente quasi tutti i corsi di studio, dipende dai progetti in cui si è interessati a lavorare e soprattutto per quanto tempo si è disposti a star fuori. Sono utilissimi i profili specialistici (veterinari, agronomi, medici, infermieri, ingegneri….), basta trovare il progetto e l’organizzazione che ricerca il tuo profilo.
– In cosa consiste in tuo lavoro? Quali e quanti sono i progetti che sostenete?
Per oltre 3 anni mi sono occupata del coordinamento amministrativo di tutti i progetti, adesso sono invece il responsabile paese, nel senso che coordino il team di volontari Cope in Tanzania (al momento circa 10 volontari, tra agronomi, infermiera, educatrice, veterinario, amministratore, comunicatore ambientale) e rappresento l’organizzazione nel Paese. Ho una base a Iringa nel centro della Tanzania e mi muovo moltissimo per recarmi nelle sedi di progetto a Nyololo e Msindo, rispettivamente a 120 e 500 km di distanza, dove portiamo avanti numerosi progetti, tra cui un Centro di Salute Rurale, un centro di accoglienza per bambini in difficoltà, un centro di formazione agro zootecnica, un progetto di sicurezza alimentare, uno di microimprenditoria femminile e supporto a una scuola materna. I progetti sono in continua evoluzione e le cose da fare sono sempre numerose. Sicuramente la sfida più grossa è quella di renderci inutili il prima possibile; i nostri sono progetti di sviluppo, non di emergenza (anche se molto spesso si risponde a delle piccole emergenze) questo significa che il nostro compito è quello di avviare i progetti e far si che i progetti possano andare avanti anche senza di noi, bensì col supporto e la gestione diretta di risorse umane locali, che vanno quindi valorizzate e formate, se non lo sono già. Questa è sicuramente la sfida più grande e riuscire a lasciare i progetti ai locali è l’obiettivo primo del nostro lavoro. Ovviamente per far questo deve esserci un continuo lavoro partecipativo che coinvolga beneficiari e team locale, e a volte per motivi linguistici e culturali non è facile. Ci sarebbero davvero una infinità di cose da dire sulle difficoltà e le gioie di questo lavoro… sicuramente i disagi ci sono e soprattutto lo stare lontani anche per lungo tempo da famiglia, amici e abitudini occidentali a volte pesa parecchio… ma è un lavoro che ti mette molto alla prova, e ti fa crescere, soprattutto nel ricevere input da una cultura diversa e dal confronto con gli altri.
– Qual è la cosa che ti piace di più del tuo lavoro?
Sicuramente la continua sfida a far meglio, nel confronto e nella comprensione dell’altro, un altro diverso e simile a me per tante cose. Ovviamente questa continua ricerca, almeno per come sono fatta io, non mi preserva da momenti di confusione e paura, ma soprattutto i bambini di lì mi aiutano a superare qualsiasi momento no.
– Cosa ti manca di più della tua terra quando sei in Africa e viceversa?
Della Sicilia mi manca sicuramente la mia famiglia, e un po’ le prelibatezze gastronomiche, il mare e il mio vulcano. Dell’Africa le persone che sono ormai abituata a vivere giorno dopo giorno, e i progetti che seguo.
– Pensi un giorno di tornare in Sicilia?
Io sento di appartenere alla mia terra sicula, e la mia casa, anche se non di residenza permanente, la desidero qui. Amo conoscere il mondo, ma amo quando sono in Sicilia. Devo solo trovare la giusta formula per continuare a fare entrambe le cose.
Giuseppina Cuccia