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Cosa succede quando si è soli

La stazione di una città è il luogo del disagio per antonomasia. Qui si ritrova la compagine degli outcast, siano essi immigrati, alcolizzati o indigenti; e proprio accanto alla stazione di Catania si trova il “pronto soccorso” della Caritas che accoglie ed aiuta chiunque ne abbia bisogno; e non si pensi che le necessità siano solo di tipo materiale, anzi: spesso, la solitudine e la depressione intrappolano un uomo qualunque nelle grinfie della droga e dell’alcolismo oppure esse sono la naturale conseguenza dell’emarginazione.

La sala d’attesa della Caritas sembra un porto di mare, è affollata e rumorosa, ci sono i volontari che sorridono sempre e sembrano non stancarsi mai, ci sono uomini e donne venuti da lontano che hanno impressa la loro storia sul volto, ci sono sorrisi, sospiri e colpi di tosse, ci sono occhi persi nel vuoto e occhi pieni di curiosità; a mezzogiorno questa sala si svuota, rimaniamo solo io ed una ragazza rumena, aspettiamo entrambe di poter parlare con Pino Fusari, che lavora qui da circa un anno e mezzo come consulente esterno, in qualità di psicologo e psicoterapeuta. La ragazza rumena smanetta al cellulare mentre, seduta qualche tavolino più in là, rivolgo alcune domande al dott. Fusari che sembra così stanco, e che mi spiega che oggi è stata per lui una giornata intensa e piena di “emergenze”.

Esiste un denominatore comune per il disagio dei suoi assistiti?

“Direi fondamentalmente l’impoverimento delle relazioni affettive e sociali, soprattutto nell’ambito familiare; spesso determinate dinamiche di sgretolamento familiare rimaste latenti grazie ad una condizione di equilibrio, emergono con tutta la loro forza nel momento in cui si verifica una perdita, ad esempio del lavoro o di un parente. Proprio in questi contesti subentrano la solitudine e la crisi della famiglia. Ma ovviamente ogni caso è una storia a sé, fatta di trascorsi dolorosi e di momenti di debolezza.”

Un caso che l’ha colpita?

“Seguo una donna italiana da due o tre settimane, la sua vicenda familiare è  brutalmente triste: maltrattata per anni dal marito, riuscita a ottenere la separazione solo dopo molto tempo, si trova a dover badare da sola a due figli molto problematici e a dover lavorare per mantenerli e per saldare dei debiti contratti a causa della sua ingenuità, e a non potersi nemmeno pagare gli ansiolitici”

Qual è la percezione che gli stranieri hanno di noi?

“Dipende molto dalla realtà con la quale entrano in contatto: noi siciliani abbiamo trascorsi di povertà e immigrazione ed effettuiamo controlli molto meno severi, e ciò fa si che gli stranieri percepiscano questa nostra maggiore apertura all’accoglienza; forse, da parte loro non c’è la spiccata tendenza a vedere “gli italiani” come un tutt’uno indistinto, come invece  facciamo noi talvolta con loro”

Vi sono gli ostacoli psicologici all’integrazione?

“In base alla mia esperienza, ho avuto modo di constatare che spesso l’immigrato è considerato un mero strumento di lavoro: nelle case, nelle campagne, nelle strade. Così ad esempio, si pretende che la badante trascorra la sua giornata all’interno della famiglia ma non le si concede confidenza o  considerazione. Questi e molti altri atteggiamenti fanno sì che lo straniero si senta usato come un oggetto e sminuito nella propria dimensione umana, fatta di sentimenti, stati d’animo, pensieri.”

Ornella Balsamo