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De Felice o le virtù del “demagogo”

Centovent’anni fa, una Catania soffocata dagli scandali bancari, dalla speculazione edilizia e dalla crisi economica, vide ascendere una nuova classe dirigente. Crispi aveva allargato il suffragio amministrativo, gli elettori passarono da cinque a dodici mila e il sindaco divenne elettivo: nel novembre 1889 un ragazzo di trent’anni travolse le forze liberal-moderate e conquistò il Municipio. Si chiamava Giuseppe De Felice Giuffrida, era il capo dei repubblicani e dei socialisti catanesi. Oggi nessuno lo ricorda, tranne una piccola via del centro, una tomba-mausoleo che giace dimenticata, e un busto a Palazzo degli Elefanti, nel corridoio antistante alla Sala consiliare, dove continua a sorridere dinanzi ai passanti incuranti. Non gli rende giustizia l’acre trasfigurazione di De Roberto ne “i Viceré”, con la figura di Consalvo Uzeda, convertitosi in demagogo. La sua vicenda ci parla di Catania; del suo presente, e speriamo, del suo futuro. De Felice Giuffrida crebbe in un ospizio per orfani, dopo la morte del padre. Patì a lungo la fame, ma riuscì infine a conseguire il titolo di procuratore legale alla Facoltà di Giurisprudenza. Da allora, l’impegno a favore del popolo, da capo del circolo repubblicano e presidente dell’associazione dei lavoranti fornai, seppe portarlo lontano: consigliere comunale e provinciale e poi  assessore comunale; deputato nazionale, sindaco dal 1902 al 1914, quindi presidente della provincia dal 1916 alla morte. De Felice iniziò la sua battaglia amministrativa a ventisei anni, quando entrò in Consiglio comunale. La città era priva di acquedotto e fognature, con interi quartieri abitati da disoccupati e mendicanti. Anziché affrontare l’emergenza igienico-sanitaria, le giunte liberal- moderate investirono somme ingenti in opere pubbliche di lusso, come il Teatro Massimo e la Villa Bellini. Nel 1887 un’epidemia di colera colpì la Città, in coincidenza con la crisi finanziaria: la bolla speculativa che aveva alimentato la crescita economica catanese era esplosa. Consiglieri d’amministrazione e impiegati furono arrestati per malversazione e le perdite minarono la fiducia degli operatori. De Felice organizzava il soccorso civile contro il colera e nel frattempo preparava la riscossa, sull’onda della “questione morale”. Parlando dinanzi a una folla immensa, celebrò il centenario della Rivoluzione Francese: furono le prove generali del trionfo elettorale di novembre. Crispi sciolse il Consiglio comunale e lo fece arrestare, ma lui sarebbe tornato a Palazzo degli Elefanti da Sindaco, non prima di essersi messo alla testa dei “Fasci dei Lavoratori”. La giunta De Felice avrebbe municipalizzato il pane, costruito la rete tranviaria e risanato interi quartieri. Il pragmatismo di questo “rivoluzionario e riformista” seppe innovare Catania, favorendo l’incontro tra i settori radicali del Risorgimento e il nascente movimento socialista. Presto, nell’Internazionale avrebbe vinto l’ortodossia.

Enrico Sciuto