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E’ ingiuria, dare del cesso ad una persona in pubblico

Contare fino a dieci prima di aprire bocca può essere oltre che utile a volte, anche necessario per evitare spiacevoli conseguenze. Il titolo XII del libro II del codice penale al capo II contiene i delitti contro l’onore e, tra questi  il reato di ingiuria. Se offendere in privato una persona potrebbe essere solo indice di maleducazione, farlo in pubblico è reato, ovvero  ingiuria – art. 594 del codice penale – consistente nel fatto di  offendere l’onore ed il decoro di una persona presente. L’ingiuria secondo la lettera del codice è costituita dall’offesa all’onore inteso con riferimento alle qualità morali della persona, od al decoro cioè al complesso di quelle altre qualità e condizioni che determinano il valore sociale di una persona. (cfr. Cass. Pen. Sez. V, n. 4845 del 30.11.88). Risponde del reato di ingiuria, chi offende in pubblico una persona dandole del “cesso”. Così  la  V sezione penale della corte di cassazione con la sentenza n. 2532 del 11.11.2010  depositata il 31. 01. 2011, respingendo un ricorso avverso una sentenza del tribunale di Catanzaro – in funzione di giudice di appello –, che si era pronunciato in merito ad un appello avverso una sentenza di condanna del giudice di pace di quella città. L’episodio oggetto del procedimento penale riguarda una moglie – tradita! –   che aveva pronunciato la seguente frase: “sei un cesso, ma ti sei vista? Sono la moglie di…… e, questo cesso è l’amante di….” nei confronti un avvocato donna, a pochi metri di distanza dal palazzo di giustizia, quindi luogo  normalmente frequentato da avvocati.  La suprema corte di cassazione, con la sentenza in questione nel rigettare il ricorso dell’imputata ha aderito alle motivazioni contenute nella sentenza del tribunale di Catanzaro che aveva  ritenuto che “la condotta ascrivibile all’imputata integra la fattispecie delineata dall’art. 594 del codice penale in quanto le parole profferite sono sicuramente tali da offendere l’aspetto fisico ed esteriore e sono idonee a ledere la sfera personale e privata di una donna, la cui immagine è stata offuscata anche nell’ambito del proprio ambiente professionale”. La stessa V Sezione, già in altra occasione ebbe a statuire con la sentenza n. 13263 del 16 Marzo 2005 che apostrofare qualcuno con l’epiteto di “stronzo” costituisce reato di ingiuria, anche se chi ha pronunciato l’offesa non intendeva offenderne l’onore. Le pronunce in questione sottolineano, ove mai fosse necessario,  che il rispetto sociale è dovuto a chiunque e l’ordinamento giuridico non può e, non deve tollerare aggressioni alla reputazione delle persone, perché se ciò accadesse, verrebbe meno anche  il rispetto dei principi sanciti dalla costituzione ove,  all’art. 3 si assicura pari dignità sociale a tutti i cittadini.

Angelo RUBERTO
(Avvocato del foro di LUCERA)