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E ora, che ne sarà di noi?

Al di là di Santiago da Compostela, quando tutte le aspettative di quasi 1000km sono tradite dal bazar cittadino delle indulgenze, c’è l’oceano. Dalla Costa de la Muerte ci separano solo 100km, una strada segnata dalla via Lattea che raggiunge il Capo di Finisterre passando per Negreira, la città cui allude Hemingway nel suo Per chi suona la campana, e per il santuario di Muxia, cittadina dove la fede cristiana e il misticismo celtico sembrano coesistere. Poi termina il mondo. A ricordarcelo la pietra miliare numero zero. Forrest Gump si sarebbe voltato per correre verso l’altra costa. A noi osservando l’orizzonte inghiottire il Sole non resta che chiederci «E ora?». La meta è il porto, dove il pellegrino trova il meritato riposo in quello che un tempo fu villaggio di pescatori che oggi deve cedere il passo al turismo. Camere in affitto per venti euro, menù turistico a otto, solfiti al retrogusto di vino inclusi nel prezzo. Molti a Finisterre non ci arrivano nemmeno; altri, appartenenti alla categoria dei Turisti Alpitour, vi giungono in pullman. Vanno e vengono in giornata e hanno a malapena il tempo di salire al faro per scattare una fotografia e bruciare, secondo tradizione, un indumento come ultimo tributo al simbolismo di cui il cammino è pregno. Come in un albergo ad ore. Finisterre però chiede d’essere amata, ma solo per i più fortunati c’è una sosta più lunga. Finisterre è come le conchiglie che la rappresentano. Sembra uguale a mille altri posti, fatta in serie e priva di sorprese, ma basta girarla sul palmo – tant’è piccola – per scoprire sfumature sempre nuove. Quando dopo un mese tra piane, montagne e mesetas si scorge l’oceano e si inizia a scendere lungo il declivio di questo palcoscenico naturale, si ha l’impressione di iniziare una discesa orfica come quella di Alice nella tana del Bianconiglio. L’odore della salina si fa più forte, il singulto dei gabbiani diventa costante. Lì, Stendhal, inizia il disorientamento. È un Paese delle meraviglie timido ed impacciato. Piove col sole, le nuvole son lenzuola, le barche sembrano non voler lasciare mai il porto. Finisterre va vissuta. Svegliarsi presto con i gabbiani e vedere i pescatori tirare le reti in mare, oziare lungo il molo, assaggiare le sue sardine. È porto di mare e frontiera, covo immaginario di filibustieri e avventurieri. Galiziani, inglesi e tedeschi gestiscono taverne pittoresche dove piatti semplici e genuini sono serviti con pesce fresco e musica soft in stereofonia. Bisogna entrare nei ritmi e nei riti di un luogo dove è stata consumata ogni tipo di credenza. Avere la pazienza di aspettare l’epifania, l’indicibile segreto rivelarsi inaspettatamente. La geografia dell’anima ha le sue mappe e le sue regole. La rinascita, ironicamente, passa attraverso la costa della morte ed ogni pellegrino dai piedi e dalle ginocchia fasciate modi mummia lo sa bene: «La morte è solo il principio».

Luca Colnaghi