Pubblicato il: 17 Settembre, 2010

“Garibaldi: un mito solido come l’unità nazionale”

Enrico Iachello è professore di Storia Moderna. Alla tenuta del ‘mito’ risorgimentale non ha smesso di credere. Sarà per questo che, tra una scadenza e l’altra, a una chiacchierata su Giuseppe Garibaldi non rinuncia.

Preside Iachello,

Le celebrazioni per il 150° d’Italia scivolano via fra l’indifferenza dell’opinione pubblica e i veti della Lega Nord. L’Europa è scossa da spinte centrifughe. Pensa che, alla lunga, l’unità d’Italia possa venir meno?

Prima di parlare di indifferenza, aspettiamo gli eventi del 2011. Sono in cantiere molte iniziative a livello nazionale. La Facoltà di Lettere di Catania, insieme ad istituzioni ed enti locali, sta definendo un quadro di progetti. Fra questi, uno sarà in collaborazione con l’Università di Milano. Non credo che nell’immediato ci sia un pericolo di separazione, ma con tanti apprendisti stregoni in giro qualche rischio si potrebbe correre. Credo però che l’interesse a tenere unita l’Italia sia ancora più forte di qualsivoglia spinta “separatista”. E non definirei tali le iniziative di Lombardo. Al di là delle chiacchiere e delle differenze le varie parti del paese, nord e sud in primo luogo, sono molto integrate, sia culturalmente che politicamente ed economicamente. La Lega Nord esprime un progetto di ridefinizione dei rapporti di forza territoriali che non necessariamente ha bisogno della secessione per realizzarsi.

Quest’anniversario non sembra aver favorito un’adeguata riflessione sulle ragioni del nostro stare insieme, sul nostro futuro in comune. Crede al riguardo che il mondo accademico possa ancora svolgere una funzione propulsiva nel dibattito culturale e politico del paese?

Penso di sì. Vale la pena di tentare, sia pure fra le evidenti difficoltà in cui versa oggi l’Accademia.

Se si escludono l’ultimo saggio di Lucio Villari e i lavori di sintesi di Emilio Gentile, pare che l’interesse della storiografia alla ricostruzione di un’identità collettiva degli italiani abbia segnato il passo. Avremo mai un Nolte, che voglia cimentarsi col nostro “passato che non passa”?

Trovo fuorviante il richiamo a Nolte, uno storico che si riferisce a contesti completamente diversi. Nolte si occupa di nazismo e comunismo, la nostra unificazione nazionale segna l’avvento di un sistema democratico e liberale. Purtroppo a livello storiografico, tranne pochi esempi- Rosario Romeo in testa- è mancata in Italia una riflessione svincolata dalle congiunture politiche e dagli schemi ideologici. Cattolici e comunisti hanno a lungo spinto il dibattito su versanti di “critica” del Risorgimento più che sulla sua comprensione.Garibaldi - Giacomo Mantegazza

Non sarà il nazismo o il comunismo, ma è diffusa l’idea che i nostri 150 anni siano una sequela di errori, di difetti. Non è così, ma certo di problemi ce ne sono stati…

Lo scorso maggio ha introdotto al “Mitifest” la figura di Giuseppe Garibaldi. In un rapporto al Foreign Office del 1859, il colonnello britannico Cadogan paragona il Generale a George Washington. Perché in Italia non si è più distinta la memoria di Garibaldi da quella dei suoi sedicenti epigoni?

Non mi pare. Il mito di Garibaldi si è rivelato il più duraturo e di gran lunga senza rivali nella “memoria nazionale”. E poi, chi sarebbero questi “sedicenti epigoni”? Sono definizioni che non servono a comprendere e conoscere la classe dirigente che costruì l’Italia unita e rivelano l’influsso di una terminologia politica di cui farei volentieri a meno.

Mi riferisco al “garibaldinismo” di Crispi e Mussolini, all’ispirazione offerta all’Arditismo, al rito del discorso dal balcone, ripreso da D’Annunzio… L’icona Garibaldi è vittima del Novecento italiano?

Il mito di Garibaldi ha attraversato, proprio per la sua rilevanza e vitalità, la storia d’Italia in tutte le sue fasi. Anche quella odierna. Il mito non è “vittima”, è fatto per essere usato sin quando una comunità lo assume come punto di riferimento, anche se a sproposito in alcuni casi. Nel 1948 l’icona Garibaldi venne usata sia dai democristiani che dai comunisti in quella campagna elettorale “epocale”. Qui è la forza del mito, il suo essere punto di riferimento per forze contrapposte, ma tutte dentro la stessa nazione.

Per Garibaldi si usa spesso l’aggettivo “ingenuo”. Denis Mack Smith ha scritto di lui “che forse era un po’ sciocco”. Nessuno ha usato simili aggettivi per Simon Bolìvar o per altri eroi generosi, “romantici”. Gli italiani sono forse disincantati, autolesionisti?

Il mito dell’ingenuità di Garibaldi- anche questo fa parte del mito- è più legato alla fase successiva all’Unificazione italiana, al suo “ritiro” a Caprera, al generoso impegno prima per Roma capitale e poi alla partecipazione polemica alla vita politica italiana sino al 1882. Più che della sua ingenuità, bisognerebbe parlare di una stagione politica che muta, della necessità di porre fine alla “rivoluzione” per edificare la nuova Italia. Ed è quello che comprende Crispi. Garibaldi resta legato ad un’altra stagione, quella rivoluzionaria appunto. Ma questo non ha nulla a che vedere con l’ingenuità. Garibaldi, credo, rimase un “rivoluzionario” quando il paese aveva ormai bisogno di statisti.

Enrico Sciuto

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