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Good Bye Lenin

Il parco delle statue Memento a Budapest è una sorta di Disneyland comunista composta di 40 busti, statue, targhe dedicati a Lenin, Marx Béla Kun e ad una serie di lavoratori eroici . Museo dell’orrore. Basterebbe aprire un libro di storia, parlare con un ungherese o fare un giro alla Terror Haza in Andràssy ùt per capire le ragioni di questo sdegno. Ed in effetti nonostante il parco uno specchietto per le allodole per qualche nostalgico, il contraltare con i monumenti per la libertà mostrano la sua vera natura. Mirabilia della dittatura e promesse future di democrazia, come ha sempre sostenuto l’architetto Akos Eleod.

Il realismo socialista qui fa da padrone e i suoi reperti non sono poi così datati se pensiamo che alcune di queste, come quella che ritrae Béla Kun tra la folla, sono state concepite negli anni ’80 da artisti quotati e forse un po’ ignavi come Imre Varga e agli inizi degli anni ’90 erano ancora al loro posto. L’armata rossa come l’esercito di terracotta cinese, diventa attrattiva per i turisti.

Gran bazar di parafernalia all’interno. I souvenir dell’epoca sovietica vanno dai cd con i canti dell’armata rossa, alle magliette, a veri cimeli ed ammennicoli pacchiani come le cartoline berlinesi con dentro pezzi di (un) muro. E nonostante il dolore questi sono replicati in serie ed esposti nella turistica Vaci ut, la fashion road di Budapest come ammoniscono alcuni cartelli.

Giro immaginario sulla limousine brevettata falce e martello, la Trabant. Cimelio mitico a suo modo, erano comunque i fasti in plastica dell’auto del popolo. Niente a che vedere con l’auto contenuta nella Terror Haza foderata con i simboli del partito. Una batmobile del terrore che ricorda certe auto nere con la svastica dei migliori film di guerra. Proprio perché gli orrori e gli errori si attraggono. Del resto la Casa del Terrore sorge dove vi fu la sede della temutissima polizia segreta AVH e prima delle SS: trenta sale su più piani dove le atrocità naziste e quelle comuniste sono le medesime.

Il carro armato nella sala al piano centrale sono un monito fortissimo. Straziante. Come la ricostruzione delle celle, le mura costruite con delle saponette, le sale di tortura.

Fuori l’Ungheria vive una primavera anche d’inverno. Dal 1956, tra alti e bassi.

Luca Colnaghi