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Il ragazzo di buona famiglia

27 luglio 1907. Nasceva a Vicenza Guido Piovene, lo scrittore dell’incapacità del vivere. Di nobile famiglia Guido Piovene compì i suoi studi a Milano, laureandosi in filosofia. Fin da giovanissimo si dedicò all’attività di giornalismo (fu corrispondente dell’ Ambrosiano dalla Germania, poi del Corriere della Sera da Londra e da Parigi) per poi divenire responsabile della sezione culturale e letteraria del Giornale nuovo diretto da Montanelli. La sua produzione artistica è abbastanza varia: tra i racconti troviamo la raccolta La vedova allegra del 1931, all’interno della quale si possono respirare le sottili atmosfere psicologiche, ispezionate attraverso un moralismo amaro. La provincia veneta è sovente rievocata nei suoi costumi, dominata da una rigida tradizione cattolica, dove la religiosità assume le sfumature della sensualità repressa. E’ proprio su questo tipo di religiosità che si imposta la trama del suo più importante romanzo: Lettere di una novizia. Si tratta di un romanzo epistolare costituito da un’introduzione e da quarantadue lettere inviate da Margherita Passi, (la protagonista), al proprio confessore, don Giuseppe Scarpa. In quelle epistole Rita esprime le sue perplessità riguardo la vocazione. Nella nota introduttiva Piovene afferma che i suoi personaggi rifiutano il percorso verso la conoscenza di se stessi, come se provassero ripudio per l’introspezione dentro la propria coscienza. Il paesaggio viene invece ad assumere una valenza simbolico-psicologica, poiché la provincia veneta descritta assume il ruolo di proiezione del plastico carattere di Rita. Il romanzo conobbe un successo considerevole poiché fu tradotto in numerose lingue e nel 1960 ne fu anche tratto un film, diretto da Alberto Lattuada, con Pascale Petit, Jean-Paul Belmondo e Massimo Girotti.

Eppure Piovene non è solo l’autore delle sottigliezze psicologiche che ergono dalla struttura diegetica presente nei suoi romanzi; nel Piovene ‘maggiore’, quello che scaturisce dalle varie esperienze letterarie che seguono i racconti, è soprattutto il tema dell’incapacità di vivere che viene sviluppato. Il crudo realismo di Piovene, consistente nella presa di coscienza di una feroce realtà, trova la sua foce nella soluzione improrogabile a cui arrivano i suoi personaggi: il suicidio. Questi uomini ‘narrati’ consumano la loro giovinezza nelle speranze, nei mille tentativi, più o meno leciti, verso la realizzazione, la quale non arriva e lascia posto all’implacabile sensazione del frustrante fallimento. E’ quello che si deduce da uno dei romanzi della giovinezza di Piovene, Il ragazzo di buona famiglia. La trama vede tre generazioni a confronto: padre, figlio e nipote, i quali pur essendo legati da vincoli di parentela in realtà sono tra loro sostanzialmente degli estranei. Il sentimento non è descritto come metro con cui misurare i rapporti, ma come elemento debole, inesistente, poiché i rapporti sono guidati dai freddi calcoli, per di più sbagliati.

Con Piovene sembra proseguire la linea del romanzo del personaggio che si disgrega a contatto con il vivere quotidiano; quel personaggio che è disposto a frantumare il proprio io a vantaggio dell’apparenza sociale e che si trova poi a fare i conti con la propria autenticità, perché incapace di ricomporsi dopo aver venduto a brandelli la sua coscienza.

Sabina Corsaro