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Rivesgliamo le nostre coscienze: intervista a Carmen Consoli

Gli occhi le brillano, le mani quasi tremano, ma la voce di Carmen Consoli echeggia in tutta la piazza, quasi come un urlo alle coscienze di chi era presente e anche di chi invece era nascosto dietro le persiane della propria casa. La incontro sabato 10 maggio, il giorno successivo al corteo in ricordo di Giuseppe Impastato, proprio davanti casa di Peppino. Sullo sfondo, l’immagine del ragazzo ucciso e quella di sua madre, che Carmen si gira più volte a guardare nel corso della nostra conversazione perché “molto si capisce – mi dice – anche soltanto osservando i loro semplici tratti del viso”.

A Cinisi un concerto che unisce una voce illustre ad una persona che crede fortemente nella commemorazione di Peppino Impastato.

Come diceva Giovanni (Impastato, fratello di Peppino) la memoria aiuta a costruire un futuro: pertanto è importante preservarla facendo sì che possa diffondersi il più possibile perché diventi letteratura, una traccia indelebile nel patrimonio genetico soprattutto del nostro popolo. Per questo tra le mie canzoni rientra “Ciuri di Campo”, una poesia scritta dai compagni di lotta di Peppino e musicata dai Lautari. Anche se per il suo ricordo non basta neppure una distesa intera di ciuri di campo!

Come hai conosciuto e ti sei avvicinata alla storia di Peppino?

Mi sono avvicinata con un grande senso di mortificazione, quasi con vergogna, sentimento inevitabilmente legato al luogo in cui viviamo. A volte non capisco questa pigrizia nel volere considerare che sono esistite persone come Peppino, Libero Grassi, Falcone. Vedere certe interviste a vostri compaesani (di Cinisi) che facevano finta di non sapere chi fosse Impastato (tra i contenuti extra del film “I cento passi”) e contemporaneamente sapere che da Milano a Roma lui è conosciuto mi fa uno strano effetto. È importante la conoscenza, lo stimolo all’approfondimento. Nella vita sono necessarie le motivazioni e questo della conoscenza è un forte input: se tu accendi la lampada per un altro alla fine ci vedi meglio anche tu.

Credi che questa indifferenza sia un retaggio del potere politico mafioso oppure sia insito nella cultura siciliana? E, usando le parole della tua canzone “Malarazza”, credi che sia arrivato il momento in cui il popolo siciliano prenda il bastone e tiri fuori i denti?

Si, Peppino ci ha insegnato che probabilmente questo bastone è la cultura. La conoscenza aiuta anche a fare delle scelte coscienti per sé e per il proprio paese. Qualcuno dice che la mafia non esiste e allora io mi dico che nella generale indifferenza del popolo italiano abbiamo una coscienza addormentata e rincoglionita. Un difetto perpetrato da una funzione devastante dei mass media, da un’informazione a metà che, come dice mio nonno, “addummisce u ciriveddu”. Per questo è necessaria una rivoluzione culturale. Bisogna risvegliarsi. Mi viene in mente il romanzo 1984 di Orwell, praticamente profeta del futuro. Addirittura i linguaggi desueti e i comportamenti a cui spingeva un sentimento come l’amore erano considerati un crimine, per cui veniva pubblicato ogni anno un vocabolario sempre più ristretto perché la mente non potesse pensare. Non è solo un problema di mafia siciliana, di omertà. Qua c’è proprio l’abiura della coscienza, del nostro passato. Di fronte ad una paura cui noi italiani ormai abbiamo fatto il callo tra il timore di Dio, il timore della mafia, ecc. abbiamo trovato la formula dell’omertà: “non vedo, non sento e non parlo”. Invece testimonianze come quella di Peppino ci danno dimostrazione dell’esistenza di valori molto importanti: la libera scelta e il coraggio di assumersi le proprie responsabilità. La paura c’è ma si combatte nell’unione.

I tempi forse sono cambiati, la sostanza è sempre la stessa?

Certo, una volta la mafia vivacchiava con attività illecite tra (usando il dialetto) droga e alcool; oggi ciò che attira l’interesse delle grosse mani si chiama petrolio. È cambiata tutta una dinamica: vedo mafia, omertà nel modo in cui oggi ci prendono per il culo giustificando per amor della pace una sorta di democratizzazione di stati poco evoluti, di questa (a loro parere) massa di ignoranti. E tu senti in giro giudizi sull’Islam che rispettano in pieno questa costruzione formale e convenzionale, costruita e appiccicata dal lavoro quotidiano che svolgono i mass media. Tutto questo per dire: nemico dell’omertà è la conoscenza profonda e non superficiale. Omertà è non volere sapere, tenere la testa sotto la sabbia come gli struzzi.

Gianluca Ricupati