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Intervista a Luciano Gulli

Collaboratore storico de “Il Giornale”, dalla fondazione della testata agli ultimi anni, Luciano Gulli ha condotto una vita intensa e avventurosa e ha vissuto sulla propria pelle i grandi cambiamenti che hanno coinvolto – e travolto – la professione giornalistica, che definisce “circonfusa da un’aura romantica e ideale”. Ho il piacere di parlare con lui e di farmi raccontare la sua personale esperienza.

– Come è iniziata la sua carriera?

Ho iniziato ad interessarmi al giornalismo durante gli anni universitari alla Cattolica di Milano, ma  sarebbe ipocrita nascondere che non si entra facilmente in un giornale, è una casta chiusa. Essendo figlio di un maresciallo dei Carabinieri, le mie chances di entrare in una testata erano davvero molto basse, ma sono stato aiutato dalla famiglia di un mio amico, che finanziava il nascente “Il Giornale” e che riuscì a farmi assumere. Collaborai alla sezione spettacoli per un anno e mezzo, ma non era ciò che desideravo: volevo passare alla cronaca, sognavo la grande avventura dell’inviato e allora gli inviati erano personaggi di spicco. Montanelli notò e apprezzò un mio articolo su un convegno di transessuali (tematica poco sdoganata all’epoca) e mi nominò inviato: a 31 anni ero il più giovane inviato de “Il Giornale”; dal 1981 al 2009 non mi sono mai fermato e ho visto tutte le guerre degli ultimi anni, direttamente con i miei occhi e vivendo anche situazioni pericolose: nel 2002 sono rimasto barricato insieme ad altri giornalisti nella Basilica della Natività di Betlemme per due giorni, l’anno seguente sono stato catturato dagli iracheni a Bassora e detenuto per 12 giorni perché scambiato per una spia, e anni prima in Serbia, durante la guerra nella ex-Jugoslavia, sono stato catturato e malmenato dalla polizia militare. Sono episodi senz’altro avventurosi che però somigliano poco all’immagine del giornalista che viaggia in prima classe e vede tutto da un albergo: non è sempre così per gli inviati di guerra.

– Nel 1994 Montanelli abbandona “Il Giornale”, rifiutandosi di sostenere l’impresa politica di Berlusconi attraverso il proprio quotidiano. Lei però non fa parte di quella cerchia di “fedelissimi” che lo seguirono alla Voce.

In realtà Montanelli non mi chiamò con sé quando andò via da “Il Giornale”, per cui in realtà io non ho fatto nessuna scelta, ho semplicemente mantenuto il mio posto di lavoro e “subìto” l’insediamento di Feltri. Lì per lì rimasi male per non essere stato chiamato, ma col senno di poi credo di essere stato fortunato: i colleghi de “La Voce” sono rimasti poi quasi tutti disoccupati e senza stipendio.

– Berlusconi ha recentemente dichiarato che in Italia c’è “fin troppa libertà di stampa”. Lei, da giornalista, come risponderebbe a tale affermazione?

Il giornalismo di oggi è imprescindibilmente schierato – da una parte o dall’altra – e ai giornalisti non viene data molta libertà di scegliere; ma esistono comunque varie testate che non sono controllate, direttamente o indirettamente, da Berlusconi e sarebbe sbagliato affermare di trovarci in una dittatura, si proietterebbe un’immagine distorta dello stato reale delle cose. La nostra è una democrazia spaccata in due, e quindi si deve stare con Berlusconi o contro Berlusconi.

– La figura dell’inviato è oggi a rischio d’estinzione, minacciata da internet e dal predominio delle agenzie?

Oggi, forse anche a causa della situazione economica, la figura dell’inviato sta per sparire, i giornali non hanno più i soldi né l’interesse per sostentare il giornalismo di viaggio. La parola scritta ed il servizio approfondito non interessano più al pubblico, diseducato dalla televisione, il quale si aspetta informazioni immediate, veloci, superficiali e non è più abituato a leggere racconti dei fatti, ma versioni dei fatti, preferendo poi argomenti di tipo frivolo, legati allo sport, agli scandali e così via. Oggi le informazioni arrivano subito e le notizie risultano trite e ritrite già dopo poco tempo, raccontarle in maniera approfondita non ha più molto senso. Non mi faccio grandi illusioni sul futuro di questa figura professionale: ormai ci si limita a fidarsi delle notizie passate dalle agenzie e dei conseguenti “servizi fotocopia”, senza sapere se sono vere o meno.

Ornella Balsamo