Pubblicato il: 16 Maggio, 2008

Maurizio Ponzi: il mestiere di regista tra cinema e TV

Maurizio PonziIncontro Maurizio Ponzi nel corso di una lectio magistralis all’Università degli Studi di Perugia nella quale spiega agli studenti del corso di laurea in “Scienze e Tecnologie delle Produzioni Artistiche” come affrontare il lavoro della regia.

Approfitto, quindi, della ghiotta occasione per porgli alcune domande.

Carmen: Lei ha iniziato la sua carriera facendo il critico per importanti riviste cinematografiche; com’è che si è scoperto regista?

Ponzi: Non sono mai stato un critico; semplicemente scrivevo di cinema in attesa di fare il regista. Ancora oggi vengo chiamato in radio a parlare di film altrui, ma la critica non è mai stata il mio lavoro. Volevo solo accostarmi al mondo del cinema e poter conoscere qualche regista che mi desse fiducia e mi prendesse a fare l’aiuto.

C.: Poi ha cominciato a fare film “di genere”, la commedia degli anni ’60…

P.: Sì. Quel tipo di cinema che veniva stroncato dalla critica ma che invece riempiva le sale. C’è voluto coraggio per farlo!

C.: Negli ultimi anni ha fatto molta televisione. Cosa cambia tra cinema e TV?

P.: Ci sono sempre stati pregiudizi verso la televisione e i registi cinematografici l’hanno sempre snobbata. Solo Rossellini, da genio qual era, l’ha presa in considerazione. La televisione non deve essere considerata un ripiego; io mi sono posto allo stesso modo perché è comunque diventata molto simile al cinema. Agli albori, nei film per la tv, il montaggio veniva fatto durante le riprese: si girava una sequenza dopo l’altra e il lavoro non poteva più essere toccato… era quasi una “diretta”; abbandonato questo tipo di lavorazione, oggi, si lavora quasi allo stesso modo. La grossa differenza è il minutaggio: un film da un’ora e mezzo si gira in quattro settimane, vale a dire 4/5 minuti di “girato” al giorno; nelle fiction si arrivano a girare anche 15 minuti al giorno. I ritmi sono decisamente più stressanti. Questo, ovviamente, dipende da una questione di costi. In televisione si ha a che fare con burocrati che maneggiano il denaro del gettito pubblicitario; nel cinema si ha una maggiore libertà.

C.: Qual è il suo rapporto con gli attori?

P.: Gli attori sono dei bambini, io cerco di valorizzarli e metterli a proprio agio. Li ascolto molto e loro apportano sempre qualcosa di buono, qualcosa che mi era sfuggito…

C.: Quindi è contrario alla “sceneggiatura di ferro”…

P.: Assolutamente! Sono sempre pronto ai cambiamenti, quando lavoro sul set. Purtroppo a volte bisogna adeguarsi alle esigenze della produzione. Ad esempio in “Qualcosa di biondo” ero molto controllato da un ispettore di produzione americano molto puntiglioso. Nel film c’è una scena in cui un uomo viene svegliato all’improvviso, si alza di scatto e “a piedi nudi corre verso l’esterno” (così recitava la sceneggiatura) Sul set ci rendiamo conto che all’esterno c’è del breccino che rende difficoltosa e dolorosa la corsa e quindi decidiamo seduta stante di inserire un paio di pantofole che non erano previste. L’ispettore senza battere ciglio chiamò la produzione in America e fui richiamato per l'”irregolarità”. Si trattava di una questione di rispetto per il lavoro dello sceneggiatore, mi dissero, ma lo sceneggiatore ero io! Meglio lavorare in Italia…

C.: E quando la sceneggiatura non è sua come si comporta?

P.: Molti registi si rifiutano di girare film dei quali non abbiano scritto la sceneggiatura; io lo considero un atteggiamento sbagliato, snob… semplicemente la faccio mia, addirittura per un po’ me ne dimentico e mi lascio ispirare dal set.

C.: Dell’impoverimento che il cinema sta attraversando in questi ultimi anni cosa ne pensa?

P.: E’ un momento di crisi per l’Italia tutta, non vedo perché il cinema dovrebbe cavarsela. Poi fare il cinema costa e a maggior ragione è un momento nero. La televisione supplisce a questa mancanza Magari sorvoliamo su quello che è il livello, ma bisogna anche dire che lo spettatore si accontenta. Il cinema è lo specchio dei tempi e non può non essere coinvolto nei cambiamenti e nelle crisi, anche lo spettatore medio è cambiato sociologicamente: è un individuo di età compresa tra i 18 e i 21 anni e consuma pochi film all’anno, per lo più quelli di Natale, i film di guerra e le commedie, quasi tutti d’importazione americana. I film italiani vengono distribuiti poco e male… del resto i distributori e gli esercenti sono i loro peggiori nemici. Però quando esce un bel film, nonostante il boicottaggio, riesce a vivere. Noi abbiamo degli ottimi film, il cinema italiano cade quando vuole imitare Hollywood, un modo di fare che non è suo; di contro Hollywood ci ha sempre imitati.

C.: Che consiglio darebbe a un giovane che vuol fare cinema oggi?

P.: Non esistono geni incompresi: se uno è un genio ce la fa’, basta insistere. Invece noto che c’è anche una gran crisi di talenti. Il mio consiglio è aver sempre paura di “annoiare”. La noia la intendo non come lentezza ma come mancanza di emozione. Poi è ovvio che il cinema sia anche l’arte del compromesso…

C.: Fino a che punto bisogna resistere al compromesso?

P.: Bisogna scendere il meno possibile. Non perché il regista abbia sempre ragione ma perché le cose fatte mal volentieri poi hanno sempre un risultato modesto. Poi ti penti…

C.: E lei si è mai pentito?

P.: Mai!

Carmen Mercuri

Displaying 1 Commento
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  1. Walter ha detto:

    Grande Carmen sempre piu professionista capace di domande intelligenti e mirate…che fanno contento anche chi viene intervistato..Complimenti Carmen sei brava…ma quello non avevo dubbi..

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