Pubblicato il: 17 Giugno, 2009

Iran, le conseguenze del voto

Iran, le conseguenze del votoAl di là di ogni previsione e non tenendo conto delle proteste dell’opposizione sulla regolarità del voto, le elezioni iraniane hanno garantito nuovamente l’elezione a presidente di Mahmoud Ahmadinejad. Con un’affluenza record (il che faceva pensare ad un clamoroso ribaltone) il presidente uscente è stato confermato grazie alle preferenze del 65% della popolazione. Ora, non prendendo in considerazione i brogli di cui si lamenta il leader sconfitto Moussavi ed escludendo provvedimenti clamorosi da parte del regime teocratico, quello che preoccupa di più sono le conseguenze che il voto iraniano avrà inevitabilmente in materia di politica estera. La questione più importante a cui bisogna sicuramente volgere lo sguardo è quella israeliana e al rapporto tra i due Stati. Le recenti, e mai smentite, “bordate” di Ahmadinejad nei confronti dello stato israeliano e l’esortazione alla distruzione dello stesso, di certo non danno motivo di essere fiduciosi. Il rischio immediato è che la situazione possa precipitare da un momento all’altro, con Israele che potrebbe cedere al gioco al massacro iraniano. Una scelta masochista che non porterebbe a nulla di buono e non migliorerebbe la situazione: certo l’Iran, oggi più che mai, è una minaccia, ma la risposta non può essere questa. Un eventuale conflitto farebbe inevitabilmente scendere in campo anche gli Stati Uniti e quegli Stati arabi che sono stretti dalla sudditanza verso l’Iran (Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita), così come dall’altro lato la Siria potrebbe decidere di schierarsi apertamente verso lo Stato iraniano. L’ipotesi malaugurata è quella di un conflitto di proporzioni enormi! Le parole di Obama, alla vigilia del voto iraniano, l’apertura e l’invito al dialogo con il regime teocratico mettono un velo, molto sottile, di tranquillità, stemperando leggermente gli animi. L’Iran, però, da quest’orecchio ha dimostrato di non volerci sentire e le parole dell’ayatollah Khamenei a riguardo sono state abbastanza esplicite: “L’America deve ancora dimostrare di aver cambiato atteggiamento nei nostri confronti” ha chiosato il leader spirituale del Paese. La rabbia esplosa nei giorni immediatamente successivi alle elezioni è sintomatica e deve indurre a pensare: è una rabbia repressa che dura da trent’anni da parte di una popolazione che non ne può più dei soprusi del regime, mai realmente contrastati dall’Occidente ricco e benestante che è stato sempre accondiscendente. E allora quale dialogo e quale collaborazione si può avere con uno Stato che non mostra, neanche lontanamente, segni di libertà?

Massimiliano Mogavero

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