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Israele compie 60 anni

Nel 1948 nasce lo stato d’Israele. Termina così la persecuzione del popolo ebraico, che s’insedia nella terra promessa. Fino ad allora, gli ebrei di tutto il mondo sono stati completamente indifesi di fronte all’odio antisemita. Dopo il 1948 essi hanno uno stato che provvede a difenderli; non sono più uccidibili senza conseguenze per i loro assassini. Non sono più degli apolidi, dei senza-patria; hanno un esercito pronto a intervenire in loro aiuto, che si configura quale potente deterrente alla discriminazione anti-ebraica. Oggi l’Olocausto ebraico non potrebbe ripetersi. Da questo punto di vista la fondazione dello stato d’Israele è benefica ed opportuna; tuttavia, non per tutti la nascita dello stato ebraico si può definire un evento positivo.

Il 1948 è un anno tragico per i Palestinesi. Essi vedono occupate le proprie terre, per di più in misura molto maggiore di quanto l’ONU non abbia stabilito. Secondo le Nazioni Unite, infatti, lo stato israeliano avrebbe dovuto occupare circa il 56% dell’allora territorio palestinese; in realtà, a seguito delle vittorie militari riportate da Israele sulle forze palestinesi ed arabe, la porzione di terra palestinese occupata dagli Israeliani è oggi di circa l’80%. Questo stato di cose non è accettabile. La questione è molto complessa ed anche le nazioni arabe, intervenute in passato in difesa della causa palestinese, lo hanno fatto spesso per guadagnare prestigio nel mondo mussulmano e non perché realmente interessate al destino del popolo che sbandieravano di difendere. Il problema israelo-palestinese si presta a strumentalizzazioni di ogni tipo; ciascuno menziona i fatti storici che meglio si accordano alle proprie convinzioni e al proprio schieramento ideologico. Una parte della sinistra, per la verità sempre più esigua, si dimostra ancora reticente a riconoscere i diritti israeliani, mostrando così di essere legata a pregiudizi del passato e di non capire che la situazione non può migliorare se ci si ostina ad attaccare una delle due parti a scapito dell’altra.

Poi c’è il “paradosso della destra“, pronta oggi a difendere la causa israeliana come mai aveva fatto in passato e ad accusare di antisemitismo chiunque critichi la politica di Tel Aviv o difenda la causa palestinese. Questo perché Israele è filo-occidentale, amico degli Americani, con uno stile di vita simile al nostro e con uno stato forte militarmente ed economicamente. Gli ebrei che difendono i diritti dei Palestinesi e riconoscono gli errori del proprio governo vengono accusati di fare il gioco del nemico. Negli anni ’60 Primo Levi, uomo dotato di un’onestà intellettuale sempre più rara nel mondo moderno, contesta la politica d’Israele verso la Palestina e viene perciò accusato da molti Israeliani di voltare le spalle al proprio popolo. La strategia dello stato d’Israele non può essere obiettivamente condivisa; a volte si ha la spiacevole impressione che parte degli Israeliani utilizzi due pesi e due misure nel giudicare i torti subiti e quelli inflitti. Qui non si tratta di difendere i terroristi che si fanno esplodere nei mercati di Haifa e Tel Aviv; il punto è capire perché alcune persone siano tanto piene d’odio e tanto deluse dalla loro esistenza da uccidersi per uccidere: non è possibile non collegare gli atti terroristici, sbagliati e naturalmente ingiustificabili, alle terribili condizioni di vita in cui versano molti Palestinesi, ridotti alla povertà dai provvedimenti del governo e dell’esercito israeliani.

I pochi spiriti liberi dell’una e dell’altra parte sono i soli a vedere la situazione dalla giusta prospettiva; essi sono in grado di mettersi nei panni dell’altro, di capire il punto di vista di chi li odia, di vedere e raccontare la storia per quella che fu realmente, di non cadere nelle interessate e faziose strumentalizzazioni della politica. Rifiutando l’odio e il pensiero manicheo, ci insegnano che ragione e torto non stanno mai da una parte sola e che soltanto il dialogo e il ragionamento obiettivi possono costituire le fondamenta di un futuro pacifico. Ma, come sempre, i giusti costituiscono un’esigua minoranza.

Pierfrancesco Celentano