Pubblicato il: 4 Marzo, 2009

La caccia di Luigi Lo Cascio

la-caccia_2369_foto-di-marianne-boutritSarebbe riduttivo descrivere e costringere in queste righe La Caccia di Luigi Lo Cascio. Aldilà del mirabile ed essenziale lavoro di squadra che ha portato l’opera sul palcoscenico (secondo attore di particolare bravura, Pietro Rosa;  scene e art direction Alice Mangano; scene e disegni Nicola Console; suoni e montaggio video Desideria Rayner; musiche  originali Andrea Rocca; disegno luci Stefano Mazzanti; ideazione sonora Mauro Forte), aldilà dell’immortale opera da cui parte La Caccia (Le Baccanti di Euripide), elemento che colpisce enormemente è la passione, la cultura, la brillante intelligenza e la scrupolosa e lucida follia che caratterizza il personaggio e l’uomo di Luigi Lo Cascio: non si spiegherebbero le moltissime persone presenti il 26 febbraio all’ex Monastero dei Benedettini di Catania, il teatro strapieno e soprattutto i moltissimi giovani che si interessano a questo autore, attore, intellettuale di grande personalità. Magro, piuttosto basso e vestito di nero nell’auditorium dell’università, sembra quasi non voler attirare l’attenzione, ma non appena si mostra sul palco si trasforma e riempie la scena con prepotenza e maestria: si personifica in lui il personaggio con tutte le sue paure e i suoi più inconfessabili pensieri; Lo Cascio sprigiona tutte le energie fisiche e mentali che un corpo umano può trattenere. Lo spettacolo è la mente dell’uomo, la sua follia. Rappresentazione meno opprimente rispetto al suo precedente lavoro Nella Tana  tratto da un racconto di Kafka, ne La Caccia si ritrovano le stesse tematiche ossessive e angoscianti: gli spettri dell’anima, la paura, il dubbio, il delirio, la follia, il predatore e la preda che spesso e volentieri si confondono, si inseguono, lottano, si fondono. La vicenda è nota e riassumerla comporterebbe lo svilimento del travaglio psichico del protagonista e dello spettacolo stesso (ricco di sorprendenti dissacrazioni della tragedia) e soprattutto si tralascerebbe quel piccolo particolare che è la chiave di volta della magia del teatro: il senso dello spettacolo che c’è, non c’è, si afferra, sfugge, e si prende gioco dello spettatore in un vortice di sensazioni che restano in noi anche fuori all’aria aperta. Punto fondamentale e irreversibilmente tragico è il ribaltamento della condizione del personaggio che da carnefice diviene vittima: sconfitto da un dio potente e crudele, l’uomo si trasforma e perisce. Un lavoro eccezionale, un’interpretazione inimitabile e superba che ha lasciato il segno come Nella Tana, di qualche anno fa. Una sola cosa ti rimprovero Luigi: il microfono! La magia del teatro, soprattutto del teatro greco è racchiusa in una perfetta e studiata acustica che ricorda costantemente quanto sia reale e vivo lo spettacolo allestito a pochi metri da noi.

Elena Minissale

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