Pubblicato il: 20 Gennaio, 2008

Laura Betti: la “Marlene” di Pasolini

laura_bettiRicordo e so di un giorno molto lontano in cui, tra tanta gente di cui non ricordo e non so, entrò nella mia casa un uomo pallido, tirato, chiuso in un dolore misterioso, antico[…] Ricordo quindi di aver deciso che quell’uomo era un uomo. Ricordo e so che quell’uomo che era un uomo, diventò il mio uomo…”

Sono tra le più significative parole che Laura Betti scrisse su Pasolini, lei che non era la sua musa quanto un’amica con cui confrontarsi animatamente, come solo si può fare con un carattere libero e selvaggio, identico al proprio.
Versatile attrice davanti all’occhio indiscreto della cinepresa, donna dal carattere provocatorio, caustico e protagonista di celebri polemiche nella vita, la Betti è stata una delle attrici più rappresentative del cinema italiano.
Nata a Bologna nel 1934 esordì nel 1958 come cantante jazz nel varietà Saltimbanchi di Walter Chiari. Nel 1959 recitò a Milano nello spettacolo Giro a vuoto ottenendo un successo tale da entrare nel cartellone della Biennale. Il cinema italiano propose il suo volto nei primi anni sessanta, accanto a nomi di registi del calibro di Roberto Rossellini, Bernardo Bertolucci e Pier Paolo Pasolini. E proprio l’incontro con Pasolini fu uno dei più importanti della sua vita; avvenne nel 1963 e diede vita a fruttuose collaborazioni: La Ricotta, Che cosa sono le nuvole, La terra vista dalla luna, Teorema (con il quale Laura Betti vinse la Coppa Volpi al festival di Venezia) e nel 1972 I racconti di Canterbury.
A proposito di Teorema l’attrice bolognese, in un’intervista rilasciata anni addietro a Monicelli, raccontava un aneddoto legato al personaggio di Emilia (tra quelli più amati e ‘sofferti’ dalla Betti):
E’ un film che mi ha fatto litigare con Pier Paolo. “Non ci può essere nulla di più bello delle lacrime vere sostenev, Pier Paolo invece diceva: “Si, di più bello ci sono le lacrime finte” […] Bene, aveva ragione lui[…]Il fatto che, con o senza glicerina, gli occhi e quello che c’era dietro agli occhi, era mio, di Laura-Emilia“. Il sodalizio di affetto fraterno con Pasolini la porterà nel 1977 alla stesura del libro-verità (apologetico da una parte e accusatorio dall’altra) Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte.

In esso si respira tutta l’essenza di un nostalgia feroce, crudele, come quella che accompagna i più profondi affetti che sono stati rubati ingiustamente: “Ci fu un giorno in cui il sole si macchiò di sangue e tutti i giorni, da allora, si chiamarono 2-11-1975 […]. Poi mi portarono il corpo del mio uomo e lo stesero sulla mia tavola. […] Questo corpo era, appunto, a pezzi, sbranato, divorato. Mi misero in mano ago e filo per insegnarmi a ricucirlo. Capii che per uccidere “loro” avrei dovuto infilarmi dentro, ricucito, il mio uomo, affinché potesse parlarmi in segreto e spiegarmi. Ecco perché decisi – insieme a lui, come sempre – di non accettare, di disobbedire, di dare scandalo, di denunciare cosa può accadere ad un uomo pulito “in un paese orribilmente sporco.

Gli atti processuali, nel loro bieco cinismo, si alternano nel libro della Betti alle crudeli parole della stampa nazionale, mentre il nome di Pasolini viene continuamente infangato. Pasolini aveva, in modo impressionante, scovato l’anima corrotta di una società sterile, un’ anima simile all’essere mostruoso che può nascere dalle viscere di una donna morta.

Sabina Corsaro

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