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La memoria contro la mafia

Ha avuto luogo lo scorso 9 Novembre alla facoltà di Lettere e Lingue di Catania l’incontro-dibattito “Il singolo contro la violenza mafiosa” in occasione dei quindici anni dall’assassinio per mano mafiosa dell’avvocato Serafino Famà, penalista catanese fedele alla toga e al senso della giustizia.
Durante l’incontro, in presenza di una nutrita folla, sono intervenuti Ignazio Fonzo (Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento), Luciano Granozzi (Università di Catania), Viviana Matrangola (Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie), Rosanna Scopelliti (Presidente Fondazione “Antonio Scopelliti”) e Flavia Famà, figlia dell’avvocato.

Gli interventi più toccanti sono stati proprio quelli delle tre ragazze, le cui storie sono accomunate dalla perdita di un genitore a causa della mafia, dal dolore causato dalla perdita prima e dall’oblio poi, dalla volontà di trasformare la sofferenza in rabbia e la rabbia in impegno concreto.

Così Rosanna, figlia di Antonio Scopelliti, magistrato calabrese ucciso nel ’91, ha raccontato: «Dopo l’omicidio di mio padre mi ero allontanata dalla Calabria, non volevo più sentirne parlare. Quindici anni dopo, durante i funerali del vicepresidente della regione Calabria Francesco Fortugno, ho visto gli striscioni con scritto “Adesso ammazzateci tutti”: lì ho capito che dovevo tornare, per raccontare a tutti le storie delle vittime di mafia, di lupara bianca e dei testimoni di giustizia e da lì è nata la volontà di fondare l’associazione che prende il nome da mio padre».
Anche Flavia ha portato la propria testimonianza: «Anche io credevo che a Catania non ci fosse la mafia, che fosse solo a Palermo. Mi sono dovuta ricredere sulla mia pelle. Dopo essermi trasferita a Roma non volevo più avere a che fare col ricordo dell’omicidio, nessuno dei miei colleghi conosceva la mia storia, finché un 21 Marzo – giorno della commemorazione delle vittime di mafia promosso da Libera – ho sentito Rita Borsellino parlare: lei aveva dato voce al mio dolore». Serafino Famà era un penalista e difendeva i mafiosi, perché, come ci spiega lei stessa «credeva fermamente che il diritto alla difesa dovesse essere garantito a chiunque, a prescindere dal reato commesso; credeva nella correttezza nell’applicazione della legge, nel proprio lavoro, pur non sposando la causa dei propri assistiti, e per il suo senso del dovere è stato ucciso».
Ed il senso profondo di questo incontro è non dimenticare: perché l’oblio uccide una seconda volta e perché con la memoria si può combattere la mafia.

Ornella Balsamo