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La strana violenza del Punk

Esempio lampante di contaminazione tra musica e cultura, tanto da rendere a tratti quasi superflua la differenziazione tra punk e il corrispettivo genere punk-rock, il punk ha rappresentato un fenomeno probabilmente irripetibile. Nato, a rigor di termini, agli inizi degli anni 70 negli Stati Uniti (ma la paternità del punk è tutt’ora aspramente dibattuta, tra i pochi suoi adepti superstiti, e contesa fra Stati Uniti e Inghilterra), ha sempre avuto, nella sua indisciplinatezza, una disciplina ferrea: contro il sistema, contro tutto, contro tutti. E il punkettaro, o punkettone che dir si voglia, con la sua cresta, la sua ribellione, i suoi indumenti trasandati, non tarderà a essere identificato con il teppista di strada, vandalo e senza dio. La musica punk è così, in fondo, teppista, vandala e senza dio (escludendo Iggy Pop e Joe Strummer), fatta di suoni sporchi e veloci, scoordinati e diretti. Questa ideologia, queste sonorità, non possono che essere tradotte al momento delle esibizioni da personalità estreme, veri animali da palcoscenico che accanto alla voglia di fare musica avevano tanta voglia di far scandalo. Prendiamo i Sex Pistols ad esempio, con i suoi Johnny Rotten e Sid Vicious (quest’ultimo addirittura accettato nel gruppo che non sapeva suonare…ma aveva il look, ed era un pazzoide, e tanto bastava). Esibizione frenetiche, in cui solevano sputare, tagliarsi con delle lamette così, per shockare gli spettatori, essere violenti. Anche la loro canzone più celebre, God Save The Queen, ha sollevato polemiche a non finire. Sebbene i membri del gruppo abbiano sostenuto che il testo non era affatto un attacco personale alla Regina, il testo è stato criticato aspramente per il suo paragonare l’Inghilterra a un regime fascista senza futuro. Ci sono due citazioni particolarmente interessanti che si possono trarre da questo gruppo: una da Rotten, l’altra proprio da questa canzone. La prima, in cui il cantante afferma in riferimento all’operato del suo gruppo che “tutto ciò che stiamo cercando di fare è distruggere qualunque cosa!”, e la seconda, conclusione di God Save The Queen: “no future, no future for you”. Benchè queste ultime parole siano rivolte all’Inghilterra, è molto facile applicarle proprio al Punk. Un movimento, un genere, uno stile di vita, chiamatelo come volete, che voleva appunto “distruggere ogni cosa” non poteva durare. Si è estinto in fretta, bruciando come un fiammifero, finendo per distruggere anche se stesso. Prima o poi ci si stanca, e ci si rende conto che tirando le somme non resta niente. “Il Punk è morto”, si suole dire. Tutti lo dicono. Però, che diamine, negli anni ’70 finalmente stava succedendo qualcosa di nuovo, e cosa c’è di meglio di una bella ventata di aria fresca?  Una ventata nata “con la voglia di rompere il muso al suo caritatevole prossimo”, ma pur sempre fresca. Tanto, prima o poi si cresce.

Tomas Mascali