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Le classi ponte

Il mondo dell’istruzione in questo periodo afflitto dalle polemiche e dalle discussioni accese riguardo la riforma Gelmini e i provvedimenti in essa contenuti. Adesso il nuovo provvedimento, promosso dalla Lega Nord e già votato alla Camera, fa discutere e generare nuove proteste. Si tratta delle classi separate (classi di inserimento) per quegli alunni stranieri che non avranno superato un test di ingresso sulla conoscenza della lingua italiana. In poche parole, chi supererà questo test sarà inserito in classi normali insieme agli altri alunni italiani e non. Al contrario, chi non dovesse risultare idoneo verrà collocato in classi create appositamente per gli alunni che non comprendono ancora bene l’italiano per dar loro la possibilità di una maggiore integrazione, attraverso degli specifici corsi di apprendimento della lingua, come nelle intenzioni proclamate dell’autore della proposta (Roberto Cota). Tutto questo non riguarda solo gli alunni delle scuole elementari, ma il provvedimento è esteso anche per gli studenti delle medie e delle superiori. Adesso il punto consiste nel capire se questa proposta porterà alla creazione di una sorta di segregazione, di un nuovo ghetto riservato agli studenti stranieri di ogni ordine e grado, o se invece ciò costituisce un primo passo importante verso un’integrazione più efficace e graduale. In pratica, bisogna capire se è giusto avere classi omogenee o avere classi eterogenee.

Il fronte del no.  Il fronte è ovviamente spaccato. C’è chi sostiene che la proposta nasconda in realtà la convinzione che gli alunni stranieri disturbino gli altri e il normale svolgimento delle lezioni. I contrari al provvedimento sostengono che non è possibile sostenere l’integrazione e dividere gli alunni stranieri da quelli italiani; che non è utile bloccare il normale percorso scolastico e formativo ma che bisognerebbe dotare le scuole di maggiori risorse da impiegare per l’assunzione di personale specifico che possa seguire gli studenti in difficoltà con la lingua. La scelta di creare classi divise è secondo molti una scelta sbagliata perché queste non fanno diminuire l’insuccesso scolastico dei figli degli immigrati né favoriscono l’integrazione. È infatti opinione diffusa che la lingua di un paese si impari parlando con i coetanei e affrontando le tradizioni, le culture e i problemi dello stato in cui si vive.

Il fronte del sì
Sul versante opposto si sostiene invece la bontà della proposta e si sottolinea l’effettiva utilità che essa avrà. I favorevoli pensano infatti che attraverso questo provvedimento si renda più facile e snello il percorso educativo degli studenti stranieri, in particolare dei più piccoli, perché crea classi parallele che hanno l’obiettivo di permettere un inserimento migliore nella società del futuro. È una decisione che risponde anche alla domanda di una formazione vera che viene dagli studenti italiani che frequentano scuole con un numero elevato di studenti stranieri, dove si registra un ritardo dell’apprendimento. Si crede poco infatti, tra i favorevoli al provvedimento, alla possibilità di avere per ogni singola classe insegnanti capaci di fare anche mediazione culturale. Non è, secondo la maggioranza, un nuovo ghetto, ma è una forma nuda e cruda di integrazione. Le classi ponte possono risultare un’invenzione giusta o sbagliata; possono essere considerate una nuova forma di apartheid o un’innovazione importante: questo – per ora – è opinabile. Quello che è necessario e che rappresenta sicuramente un dato oggettivo è che c’è un aumento esponenziale degli studenti stranieri ed è quindi giusto discuterne e arrivare, attraverso il confronto, a provvedimenti che abbiano l’obiettivo serio di migliorare l’integrazione degli stessi. Si dovrebbe arrivare, come sempre, a provvedimenti bipartisan su questi argomenti così delicati, ma soprattutto si dovrebbero interpellare maggiormente i ragazzi prima di prendere determinate decisioni.

Massimiliano Mogavero