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Madrid il carciofo

Ho sempre pensato, al di là di reminiscenze televisive e pubblicitarie, che Madrid fosse come un carciofo da esfoliare. I suoi quartieri, le realtà culturali sovrapposte che si intersecano nei barrios cittadini. C’è una Madrid Asburgica a ridosso di quella più “belle epoque” de la Gran Via, una cittadina universitaria e notturna a Malasaña e Chueca, una  elegante e pretenziosa con il quartiere di Salamanca. C’è poi la Madrid Araba.

Certo, non trattandosi dell’España Profunda Aldaluza i tratti moreschi possono notarsi meno, ma non dimentichiamoci che, tolti i territori asturiani, i rimanenti hanno conosciuto la dominazione araba fino alla reconquista del  1492. Data del riscatto che si tradusse (che strana coincidenza) con l’inizio dell’avventura americana.

Il primo segno evidente del passaggio arabo paradossalmente è dietro l’abside della cattedrale di Nuestra Señora de la Almudena. È un piccolo tratto della Murella Arabe, ciò che rimane della cinta difensiva fatta costruire dai mori. Ma bastano pochi centinaia di metri per ritrovarsi nel bel mezzo de “La Latina”, la zona che ospita la “Moreria”, l’ultimo baluardo moro all’interno di una città (e di un regno) che era tornato ad essere unito sotto l’egida del cristianesimo.

La Mudejar o Moreria fu il ghetto della popolazione musulmana di Magerit, l’antica città, così come Lavapiès divenne il quartiere alveare delle formiche operaie. Perché è vero che un carciofo ha le foglie sovrapposte  e nasconde un cuore, ma al taglio le foglie si presentano rigidamente separate. Come del resto le regioni spagnole.

Ed il cuore in origine era proprio da queste parti come suggerisce la vecchia insegna dell’ Ayuntamiento.

Poi, venne spostato all’interno dell’ area di Plaza Major e Plaza de Sol, il cuore di un nuovo regno su cui non poteva tramontare il sole.  L’impero aveva superato il problema arabo, si era allargato nelle Americhe, e qui i figli di quell’America tornano dalla madre come  mimi e artisti di strada.

Luca Colnaghi