Pubblicato il: 9 Gennaio, 2012

MAI PIU’ OMSA: il boicottaggio che parte da Facebook

Mai-più-omsaLa notizia è arrivata a sorpresa, proprio nel periodo in cui meno avrebbero pensato di ricevere una sentenza sul proprio futuro. Già in lotta da quasi due anni – ossia da quando l’azienda è stata posta in cassa integrazione straordinaria – le 239 operaie della Omsa di Faenza hanno appreso il 27 dicembre, tramite fax, il loro imminente licenziamento. Le motivazioni rese note dal gruppo Golden Lady SpA – che nel 1992 ne ha acquisito il marchio – sono di carattere economico e strategico: la sede produttiva sarà spostata in Serbia, sia per ottimizzare i costi, sia per poter competere nei mercati dell’est europeo. Infatti la compagnia denuncia un importante calo di fatturato che andava affrontato: ed ecco che a rimetterci sono i lavoratori.

La soluzione scelta, abbandonare al proprio destino così tante famiglie, non è per niente piaciuta al mondo del web, che si è immediatamente mobilitato per sostenere la campagna di boicottaggio dei prodotti del gruppo (calze, collant, intimo) lanciata dall’evento “Mai più Omsa”, creato su Facebook da Massimo Malerba del Popolo viola. «Conosco da tempo questa situazione, seguo molto le iniziative di lotta e spesso ho promosso eventi su Facebook a supporto» – mi spiega Massimo. «L’azienda non è in crisi, questo è sicuro. La delocalizzazione secondo loro dovrebbe rispondere alle esigenze del mercato estero. In realtà delocalizzano per abbattere i costi del lavoro: in Serbia un operaio costa un terzo.» All’appello hanno finora risposto più di ottantamila utenti, e altri seicentoventimila risultano invitati. Lo scopo è semplice: chi aderisce si impegna a non acquistarne i marchi, cercando di diffondere la protesta il più possibile. «Con questa iniziativa intendiamo cominciare un percorso di sensibilizzazione generale perché noi, in fondo, un grande potere ce l’abbiamo: quello di non comprare i loro prodotti» scrive sempre Malerba sul sito del Popolo viola. Creato anche il pic badge, ossia una sorta di stemma – simbolo, da affiancare alla propria immagine del profilo Facebook o Twitter: BOMSA-Boicotta Omsa e Golden Lady. Tantissimi i messaggi di solidarietà e di sdegno non solo sulla bacheca dell’evento, ma anche sulla pagina Facebook dell’azienda, che è stata letteralmente presa d’assalto proprio come era stato suggerito di fare. Migliaia i commenti – “vergogna” e “mai più” le espressioni maggiormente utilizzate – tanto da costringere la Omsa a una risposta sulla stessa pagina: «Abbiamo preso in considerazione il vostro punto di vista e abbiamo conversato con voi più volte riguardo a tali avvenimenti. Rimaniamo aperti alla discussione, ma per una serena convivenza di chi utilizza la nostra community per altri scopi i commenti off topic o con un linguaggio scorretto verranno moderati». In realtà i post sono fermi al 22 dicembre, data dell’ultimo aggiornamento.

Grazie all’enorme risalto ottenuto dalla vicenda tramite il passaparola, i media hanno iniziato ad interessarsi maggiormente alla storia di una ditta che, dapprima simbolo del Made in Italy, ha finito per adeguarsi a logiche di mercato sempre più mortificanti nei confronti dei lavoratori italiani. «L’evento è servito a riportare al centro del dibattito il tema delle delocalizzazioni selvagge» conclude Malerba. – «Se poi, come io spero, il boicottaggio riuscirà a far recedere l’azienda dai suoi propositi, si aprirà una fase molto interessante nel rapporto e nei vincoli anche etici tra aziende e territori».

Un primo riscontro da parte della Golden Lady è arrivato. Tramite comunicato, l’azienda ha spiegato le proprie ragioni e i propri progetti, precisando che “la decisione è stata presa in ottemperanza alle leggi italiane ed al principio di libera impresa” e annunciando: la sorte delle lavoratrici e dei lavoratori OMSA, oltre che quella di tutti gli altri dipendenti è tra le priorità del gruppo, che è all’opera con tutti i soggetti preposti per trovare la soluzione più soddisfacente, insieme.”

Entro metà gennaio la proprietà dovrà prendere una decisione definitiva. Intanto la protesta non è destinata a placarsi.

 

Mariangela Celiberti

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