Pubblicato il: 22 Dicembre, 2009

Majed rompe l’assedio con la tecnologia

Majed Abusalama ha 21 anni, studia informatica ed è un fotografo, pacifista, attivista all’interno della comunità. Vive a Gaza, vive in una prigione a cielo aperto; nessuno può entrare o uscire da Gaza senza il permesso delle autorità israeliane ed egiziane che circondano il confine di questa sfortunatissima striscia di territorio. L’arbitrarietà e l’abuso del potere fanno da padrone e così Majed, pur essendo fornito di tutte le autorizzazioni necessarie, non può uscire dal proprio paese per raccontare la sua storia, può farlo solo attraverso internet ed è questo l’unico modo con cui può provare a fermare l’assedio a Gaza. E’ proprio grazie a Skype che riesco a contattarlo e a conoscere la sua storia:

-Come funziona la tua giornata-tipo?

Al mattino gli studenti e i lavoratori si alzano molto presto e vanno a scuola e a lavoro a piedi, vedi tantissime persone camminare alle prime luci dell’alba; sono tutti a piedi perché qui l’80% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, non possono permettersi i mezzi trasporto. Spesso vediamo degli elicotteri sopra le nostre teste, ci fotografano e ci controllano e questo ci rende inquieti, proprio come se fossimo in prigione..questa è una prigione. Si torna a casa presto per prudenza, di notte iniziano a sparare e talvolta cadono le bombe, durante la notte; colpiscono le case vicino al confine e tutti si svegliano e ascoltano i bollettini radio. Ci viene a mancare l’elettricità durante il giorno e anche l’acqua è razionata: dobbiamo andare a prenderla con i bidoni e pagare per averla, ma non è acqua potabile. Questa è la vita a Gaza.

-Parliamo del conflitto a Gaza..hai certamente visto cose orrende. Quale ti ha shockato di più?

Prova ad immaginare il cielo pieno di aerei e tutte le bombe cadere dall’alto, e vedere tante persone morire, così. Un altro ricordo traumatico è quello di un mio zio, morto durante un bombardamento; era andato a prendere dell’acqua e non l’abbiamo più visto ritornare a casa.

Tu usi spesso la parola “guerra”..ma volevo specificare che questa non è una guerra, è un massacro; sai la differenza? La guerra è un conflitto fra due parti, il massacro è qualcosa che una parte subisce dall’altra, senza potersi difendere.

-Proviamo a pensare a qualcosa di positivo: la tua attività a Gaza. Cosa fai e quali sono i tuoi prossimi obiettivi?

Io e altri giovani di Gaza, anche con l’aiuto dei volontari provenienti da tanti paesi,  ci occupiamo di aiutare coloro che hanno più bisogno, soprattutto i bambini e coloro che sono rimasti senza casa, con attività di intrattenimento e sostegno, per poter restituire loro il sorriso e la speranza. Ciò che vorrei realizzare sarebbe una rete di collaborazione solidale con i giovani di altri paesi, magari proprio della tua città  per far si che passino più informazioni possibili, per sensibilizzare l’opinione pubblica, per ricevere aiuto.

Come ti comporteresti (o comporti) nei confronti degli israeliani? Pensi sia veramente possibile convivere in pace?

Ho degli amici israeliani e mi capita spesso di parlare e confrontarmi con loro; la popolazione israeliana desidera la pace ma non il loro governo. E purtroppo avvengono spesso episodi di intolleranza: una mia amica (sul caso di Berlanty Azzam) studiava a Betlemme; quando hanno scoperto che proveniva da Gaza, hanno fatto di tutto per ostacolarne la residenza, alla fine l’hanno rimandata qui, dicendole “Ecco, è qui che devi stare”. Le mancavano due mesi alla laurea.

A conclusione dell’intervista, chiedo a Majed quale pensiero lo aiuti a portare avanti la sua “battaglia” nei momenti di sconforto; e resto spiazzata dall’ottimismo e dalla serenità della sua risposta: “Guardo le persone che mi stanno attorno e da loro traggo la forza, cerco sempre di guardare al futuro con un sorriso”.

Ornella Balsamo

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