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Masters of Horror pt1

“Masters of Horror” è il titolo della serie televisiva americana ideata da Mick Garris e andata in onda lo scorso anno su Rai3 all’interno del programma di Ghezzi “Fuori orario: cose (mai) viste”; i registi dei 13 episodi sono per lo più veri e propri mostri sacri del cinema: John Landis, Dario Argento, John Carpenter, solo per citarne alcuni. Nonostante le ambiziose premesse, la maggior parte degli episodi purtroppo non si affranca dai cliché del genere horror, venuti ormai un po’ a noia; succede ad esempio con Pick me up di Larry Cohen e con Incident On and Off a Mountain Road di Don Coscarelli: questi due brevi film ci propongono l’immancabile vicenda ambientata in una desolata strada americana, ovviamente vicina ad un bosco nel quale perdersi urlando, inseguiti dal serial killer di turno; persino il finale “a sorpresa” lascia alquanto delusi. Altra accoppiata di puntate che suscita perplessità è DeerWoman di John Landis e Sick Girl di Lucky McKee, entrambe incentrate sul tema della metamorfosi in creatura animale: gli effetti speciali rivelano tutta la “povertà” del mondo della tv rispetto a quello del grande schermo ma soprattutto la trama risulta inconcludente e lacunosa. Immancabile anche la presenza del morto redivivo nei discreti, ma non esaltanti, Dance of the Dead di Tobe Hooper e The fair-haired child di William Malone.
Considerevoli eccezioni, quattro interessanti episodi risollevano le sorti di questa serie: Jenifer di Dario Argento condensa il giusto mix di splatter, sessualità animalesca e amore perverso, mentre Homecoming di Joe Dante, superando brillantemente lo scoglio della banalità, nel proporre una storia di zombie, realizza una pungente satira nei confronti del governo statunitense e della sua politica guerrafondaia. Vera e propria punta di diamante, Cigarette Burns di John Carpenter è un piccolo capolavoro, allucinato, metacinematografico, autoreferenziale: un cinefilo alla ricerca di una rarissima pellicola dagli effetti devastanti sulla psiche, un angelo dalle ali mozzate, un crescendo di visioni da incubo; questo è probabilmente l’episodio più intellettualmente impegnato della serie, ricco di citazioni (“Profondo Rosso” e “In the mouth of madness”) e di spunti di riflessione. L’ultimo episodio della prima stagione, Imprint di Takashi Miike, è una bellissima storia di solitudine, amore, rabbia, sadismo; ambientato in un postribolo giapponese, Imprint colpisce l’attenzione soprattutto per la forza delle immagini, violente e a tratti raccapricciati, vivide nei colori, opere d’arte perversamente attrattive.

Ornella Balsamo