Pubblicato il: 8 Settembre, 2009

Neutral Milk Hotel

neutral_milk_hotelFra le figure che si sono distinte sullo sfondo della cittadina statunitense di Athens, una delle fortezze dell’indie-rock già a partire dagli anni ’70,  troviamo i Neutral Milk Hotel e il loro eclettico frontman Jeff Mangum. Molto più inclini alla sperimentazione che non alla prolificità, hanno al loro attivo solamente un paio di singoli, qualche demo e un paio di album, tra cui quello di maggior successo, In The Aeroplane Over The Sea, che raggiunse la cifra di 100000 dischi venduti (tutt’altro che pochi per un’etichetta indipendente). Fu proprio il successo quasi inaspettato di questo album a indurre Mangum, infastidito dalla celebrità, ad abbandonare il progetto, seppure la band non risulti ufficialmente sciolta. Validi esperimenti melodici e strumentali tuttavia non bastano a fare un buon album, cosa che Mangum sembra aver sempre capito vista la qualità dei testi che accompagnano le canzoni. Ambigui, di difficile comprensione, intricati e molto, molto evocativi, toccano dei picchi veramente notevoli con In The Aeroplane Over The Sea, il cui filo conduttore, a volte evidente, molto più spesso implicito e appena accennato, è la storia di Anna Frank. Che sia, come in “King Of Carrot Flowers”, sulla sua nascita, o come in “Ghost”, immagini di una visione quasi apocalittica, bambina che cade dal cielo, o come in “In The Aeroplane Over The Sea” e in “Oh!, Comely”, accenni di morte, è la bambina ebrea al centro della composizione. I brani si spostano da atteggiamenti nichilisti e mortificanti a momenti in cui l’ottimismo, la voglia di portare avanti la memoria e storia di Anna Frank, fanno capolino tra i versi. Curioso però che la canzone apparentemente più “allegra”, quella che dà il titolo all’album, sia anche quella che nasconde la maggior carica di impotenza e frustrazione. “And one day we will die […] But for now we are young let us lay in the sun and count every beautiful thing we can see”. Difficile riferire queste parole ad Anna Frank, che certo non ha avuto molto tempo prima del suo “And one day”…

È un album strano, questo, che necessita di pochi ascolti per poterlo apprezzare, ma di molti prima di poterlo iniziare a comprendere. Mangum disse che la composizione di molte canzoni gli fu ispirata da sogni ricorrenti su una famiglia ebrea che si ritrovava a vivere sulla sua pelle la Seconda Guerra Mondiale. L’artista è riuscito a mettere i suoi sogni in note, sta all’ascoltatore cercare di andare oltre la cortina fumosa che li circonda. Difficile, difficile più che mai, e ognuno arriverà a un’interpretazione diversa, probabilmente. E forse è questo il bello.

“I will be with you when you loose your breath, chasing the only meaningful memory you thought you had left…

Tomas Mascali

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