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Per capire l’Irlanda

Santuario leggendario della birra, Dublino è ormai entrata nel mito e nei cataloghi delle agenzie turistiche come una delle tappe fondamentali per gli amanti del genere. Non a caso il pacchetto opzionale prevede Guinness e musica tradizionale per ricordare i fasti dell’indipendenza, anzi di tutte le indipendenze perché come tengono a precisare le guide turistiche «Qui hanno girato Braveheart». Quella che sembra una tendenza al pettegolezzo inutile da parte delle guide, in realtà rivela una natura molto più radicata, ovvero l’insistere su una storia autonoma spesso onnivora, pronta a fagocitare tradizioni altrui per servirle decorate di trifogli al grido di Irish do it better. Più che campanilismo da quartierino si tratta di rivendicare una propria civiltà e cultura che per anni è stata negata e che spesso trova solo nella fabbrica-museo della Guinness – mostruoso reperto di archeologia industriale brevettato Willy Wonka – ragion d’essere. Dublino nasce sulle rive del Liffey come centro di commercio vichingo per schiavi. Poi diventa parcheggio medioevale per i soldati di Sua Maestà che ben pensano di utilizzare alcune chiese cattoliche come stalle per i cavalli. Fondamentalmente un Paese povero, la liberazione è datata solo 1922 con gli strascichi sanguinosi cui ci hanno introdotto i recenti successi pop. Dal pozzo di San Patrizio forse si sarebbe voluto vedere sgorgare del petrolio più che dell’acqua battesimale, ma la paura di vedervi fuoriuscire Guinness, dato che la riedificazione di questo e di molti altri edifici è stata finanziata dalla famiglia del noto imprenditore, credo abbia frenato i minatori. Per i turisti è più familiare Arthur Guinness di Michael Collins: ironicamente diventa il vero patriota, poco importa che in realtà fosse un capitalista avido e che la sua fabbrica utilizzasse condizioni di lavoro al di là di ogni regolamentazione massonica con quattro giorni di ferie annui, castità per gli artigiani impiegati nella costruzione delle botti e riti di iniziazione tribali.  Ma la classe operaia va in paradiso, ricordiamocelo, e così nella chiesa di San Patrizio scopriamo che i volti scolpiti sulle colonne non sono quelli dei committenti e patrocinatori dell’edificio, bensì i volti degli operai, per lo più schiavi celti, e delle loro divinità pagane. Una storia ricca quella dell’Irlanda e degli Irlandesi, tuttavia portata all’eccesso iperboreo. Si fa di necessità virtù, così ecco proliferare monumenti, case, musei dedicati agli scrittori e ai poeti dublinesi: Swift, Wilde, G.B. Shaw, W.B. Yeats, Joyce, Beckett; irlandese fu il primo libro di chimica, onore a Boyle, ed ovviamente irlandese il più antico monumento monolite, quando gli egizi facevano formine di fango e limo in riva al Nilo. Per Temple Bar, tuttavia, un’ombra minacciosa serpeggia sulle note di Molly Malone. A suonarla questa volta mani polacche, scozzesi ed inglesi.

Luca Colnaghi