Pubblicato il: 24 Febbraio, 2009

Revolutionary Road

revolutionary-road-movie-01Non c’è pace per la famiglia borghese media dei soleggiati quartieri americani. Non c’è pace per le sorridenti mogli dalle gonne a ruota e per i bravi uomini di casa che lavorano nella city ammazzando il tempo tra sigarette, alcolici e modeste segretarie. Dopo Peyton Place (1956), romanzo scandalo scritto da Grace Metalious – morta di cirrosi epatica, il che la dice lunga -, prima soap-opera della storia nel 1964, dopo le tinte pastello e la tragica infelicità domestica di Far from heavenLontano dal paradiso– (2002) di Todd Haynes e gli intrighi delle desperate housewives di Wisteria Lane, altri nuclei familiari ci mostrano la loro violenza dietro la facciata verdeggiante di una villetta a schiera. Sam Mendes ricongiunge la titanica coppia Leonardo DiCaprio e Kate Winslet per mettere in piedi un dramma dall’impianto teatrale, tratto dall’omonimo romanzo di Richard Yates, in cui i luoghi statici e ovattati, dai colori spenti e ordinari, fanno da contraccolpo alla tagliente verbosità dei dialoghi, claustrofobici nella loro geometrica circolarità ed esasperante crudezza. Negli anni ’50 Frank e April, giovane di belle speranze lui e aspirante attrice lei, si incontrano a una festa, si amano, si sposano. Sfioriamo appena la loro potenziale felicità, e subito ci troviamo in medias res: tutto è già passato, svanito, divorato dalla bruciante quotidianità della vita adulta, dalla bionda perfezione tipicamente middle class, dalla solidità dei ruoli sociali. Per Frank, impiegato in una grande azienda, e April, Parigi rappresenta il sogno e il riscatto di una vita diversa, perché nessuno sa vivere come i parigini, perché l’Europa è il vecchio continente la cui storia millennaria giustifica la fuga dal nuovo sempre uguale a se stesso, dal vuoto incolmabile di milioni di esistenze trascinate in convenzioni e banalità. Parigi, in cui abitano le persone speciali, meravigliose, i Frank e April Wheeler, «il palcoscenico artificiale», la città che «da sola non avvia alcun dramma», dove «non muore mai nessuno», come Henry Miller ci rivela in Tropico del cancro. Ma la rivoluzione non avverrà, gli espedienti di trasgressione non daranno alcun sollievo al demone dell’insoddisfazione, il perbenismo del vicinato si sentirà scosso da questa ventata di forza vitale ma con un sospiro di sollievo potrà tornare alla propria quiete domestica, intoccabile e limpida, tramutando la disgregata coppia un tempo fantastica in un aneddoto curioso da raccontare ai ricevimenti e davanti a una tazza di caffé. Revolutionary Road, infedele al proprio nome e fiera dell’antitesi che si porta dietro, continuerà a ergersi ridente e linda, incurante del dolore generato, nella statica freddezza del banale male di vivere.

Alice Briscese Coletti

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