Pubblicato il: 20 Febbraio, 2009

Storie di clandestine a domicilio

storia-di-5-donneclandestine-a-domicilioBadanti, domestiche e baby sitter extracomunitarie. Spesso vivono nella casa in cui lavorano senza uscire quasi mai, oppure girano per fare le pulizie a ore da un quartiere all’altro, sempre attente a non farsi notare. Secondo stime sindacali, nelle case italiane ci sarebbero almeno 600 mila tra lavoratori in nero e clandestini. C’è chi per farsi assumere fotocopia il permesso di soggiorno di un’amica, cambia foto e dati, poi lo fotocopia di nuovo. I datori di lavoro si accontentano di quel foglio “autoprodotto”, quando non si fidano di una garanzia verbale. La clandestina conviene: costa poco e non può chiedere nulla. Magali in Perù ha una bambina tredicenne che non vede dal 2003, anno in cui lasciò il posto di insegnante elementare per raggiungere una sorella a Bologna. “Dovevo partire per forza. in Perù si lavora solo con contratti a termine e per 200 euro al mese. Studiavo per specializzarmi in Pedagogia, ma l’università è cara. La tesi non l’ho mai fatta”. Adesso la sua vita quotidiana è tutta basata sul principio: non fidarsi, non rischiare. “Vivo sempre in casa”, racconta, “qui dove lavoro e il fine settimana da mia cugina. Non salgo mai in metro o in autobus senza il biglietto da timbrare. Chi ha il permesso usa lo stesso tre o quattro volte, se ti fermano dici che ti sei sbagliato. Noi clandestini non possiamo”. Anna, da clandestina è diventata volontaria. Romena, arrivata da tre anni, con l’ingresso del suo Paese in Europa non è più a rischio di espulsione e avrà la carta di soggiorno.”La vita che faccio mi sta stretta. La signora presso cui lavoro è stata chirurgo. Dice che noi stranieri non abbiamo il diritto di studiare, perché non conosciamo la storia italiana. Quando c’è stata una sparatoria di italiani contro romeni, io sono andata con gli altri di Sant’Egidio a trovare i miei connazionali feriti. La signora si è arrabbiata. Ha detto che era preoccupata per me. A lei non va che Sant’Egidio accolga gli stranieri”. “Era il 13 novembre 2002. La sanatoria era stata chiusa a ottobre”. Da quel giorno Ludmilla è in attesa di poter rivedere il padre malato e il figlio che fa l’università in Transnistria, regione della Moldavia dichiaratasi indipendente nel 1992 e da allora prigioniera di un regime di vecchio stampo, della mafia russa e di una decadenza economica inarrestabile. Ludmilla trova lavoro all’isola d’Elba, presso una coppia di anziani, per 700 euro. “Potevo uscire dalle tre alle cinque. Al primo piano stavano loro, con il riscaldamento. Sopra c’era la parte più grande, senza, dove stavo io”. Un materasso in terra, un bagno senza acqua calda e senza soffitto. Elena si vorrebbe sposare ma c’è un problema. Giunta clandestina, dalla Georgia, s’è innamorata di un immigrato proveniente da un altro continente. Lui è in regola. Potrebbero sposarsi solo recandosi insieme all’estero. Tania, 28 anni, è arrivata dall’Ucraina per prima. Attende di ottenere il permesso di soggiorno e, nel frattempo, lavora per una ditta di pulizie del Modenese. “Mamma”, racconta, “mi ha raggiunta con un permesso finto; da noi basta pagare per averlo”. Adesso Ljuba è al terzo ciclo di chemioterapia. Tania è fiduciosa. “I medici sono molto bravi, qui c’è la speranza che mia madre possa guarire”.

Irene Stumpo

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