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Lo stress at work: il calvario degli stacanovisti nell’epoca di Brunetta

Se negli ultimi tempi l’attenzione dei media italiani si è spostata sulla grande massa di fannulloni ed assenteisti che l’attuale ministro della pubblica amministrazione Brunetta sta tentando di far rigare dritto, nulla o quasi nulla è stato detto su quei lavoratori italiani, ma anche. europei, che all’ombra delle proprie scrivanie sono da sempre ligi al dovere, e che giorno dopo giorno, sempre più stressati, si sono conquistati il titolo di stacanovisti del lavoro. Naturalmente il problema dell’assenteismo sul posto di lavoro non è un caso tutto italiano, ma alcuni paesi europei, fino a poco tempo fa sembravano riflettere su questioni molto diverse, anzi opposte. Ne sono un esempio i dibattiti in Gran Bretagna e Spagna, riguardanti lo stress sul posto di lavoro; stress causato dagli eccessivi carichi ai dipendenti e soprattutto dai prolungati orari di attività. Non meno di un anno e mezzo fa infatti un’importante indagine britannica sugli effetti dell’overwork, (il sovraccarico di lavoro), condotta dal dott. Cary Cooper, esperto psicologo e docente presso l’università di Lancaster, aveva portato alla conclusione che gran parte dei lavoratori britannici era affetto da diverse forme di stress, causate dalla pesante realtà lavorativa che essi vivevano. Secondo lo studio infatti il 40 % degli intervistati sosteneva di combattere per riuscire a liberare la mente dalle questioni lavorative, una volta rientrati in casa, il 35 % sosteneva che la pressione subita sul lavoro stava portando a seri problemi di insonnia, il 22 % confessava di essere depresso a causa di un occupazione che era ben lontana dalle proprie ambizioni e aspirazioni lavorative. Un’altra parte degli intervistati, lamentava inoltre, le ulteriori ore di servizio prestate al posto di colleghi assenti o di superiori a cui non si poteva rifiutare un favore. Il quadro finale del docente psicologo sembrò molto chiaro; il posto di lavoro, è diventato sempre meno sicuro, si lavora con orari prolungati e i dipendenti sono sfruttati al massimo della loro resistenza.

In un periodo storico in cui la speranza in un occupazione duratura, sembra essere sempre più bassa, in cui si parla molto di precariato, raramente appaiono sui giornali, le storie di quei lavoratori, ormai stremati, che per decenni hanno portato avanti le proprie battaglie, e che si sono dati da fare anche per tutti quelli che per motivazioni reali o fittizie erano assenti dal posto di lavoro. Potrebbe essere il caso di Paola C., dipendente presso un tribunale del centro Italia; è bastato un semplice resoconto delle sue esperienze negli ultimi anni, per far scaturire una sorta di elogio nei confronti di chi, come lei dalla sua postazione ha osservato l’attitudine di molti colleghi “furbetti”. “C’era chi senza indugio restava fuori per ore, dopo aver preso l’orario di entrata, o chi al mattino si affrettava a salire in ufficio per “timbrare”, mentre l’auto ancora accesa lo attendeva all’entrata per un’ulteriore passeggiatina prima di prendere servizio”. Paola, da sempre contraria a ogni tipo di perdita di tempo sul posto di lavoro, racconta di essere stata colpita spesso da diverse forme di stress, specialmente quando ha dovuto accollarsi il lavoro del “furbetto” di turno, che le aveva sottratto le poche ore di riposo, per sbrigare faccende a volte inesistenti, lasciando ai colleghi una mole di lavoro nettamente superiore. Eppure in questi giorni, voci di corridoio, parlano di possibili incentivi ai dipendenti più bravi, a scapito dei colleghi ingrati. L’idea del neo ministro Brunetta sembrerebbe allettante anche per Paola, sebbene questa ritenga che sia giunta troppo tardi. Incentivare i dipendenti modello non permette comunque di dimenticare le vicende dei “furbetti” che quotidianamente, per anni, si sono sottratti al proprio dovere lasciando ai colleghi onesti, pesanti pacchi di scartoffie da ordinare.

Americo Scacchetti