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Teatro Stabile: Copenaghen

Un fisico ha il diritto di contribuire alla costruzione di una bomba?, si chiedono in maniera assillante i due protagonisti, gli scienziati Niels Bohr (Umberto Orsini) e Werner Heisenberg (un magistrale Massimo Popolizio), che negli anni ’30 e ’40 del Novecento diedero un contributo decisivo allo sviluppo dell’arma atomica. Sia Heisenberg che Bohr, che Margrethe Bohr, la moglie di quest’ultimo (Giuliana Lojodice), sono morti. Si aggirano per il palco, parlano, gridano, rimembrano, ma sono morti e sepolti. Cosa ricordano? Tante, tante cose. Vicende familiari, piccoli episodi, passeggiate, discussioni, ma soprattutto un avvenimento, decisivo per le sorti dell’Europa intera: una misteriosa discussione che Bohr e Heisenberg ebbero nel 1941 a Copenaghen. Cosa si dissero? Frayn tenta di rispondere a questa domanda creando una mirabile struttura narrativa che mescola passato, presente, morte vita e ricordi, e intessendo una fitta rete di parallelismi tra scienza e vita. Su delle grandi lavagne i due fisici scrivono le loro formule, mentre con le parole scrivono la loro vita. Heisenberg è celebre per il suo Principio di Indeterminatezza. Riusciamo a scorgere gli elettroni di un atomo solo nel momento in cui entrano in collisione con un fotone, lasciando così una minuscola traccia, un minuscolo istante di conoscenza. Per il resto del tempo esso è come una scheggia impazzita, di cui non possiamo calcolare la posizione. È come un uomo che vaga nella nebbia, e che noi vediamo solo quando interrompe la luce di un qualche lampione. Gli eventi che si susseguono, le decisioni da prendere… aiutare o meno il regime nazista a sviluppare la bomba atomica?…, gli istanti in cui si deve agire di istinto perché basta perdersi un attimo a riflettere e si è morti,  le casualità: non è forse tutto come una scheggia impazzita, impossibile da prevedere?Cosa succederà, perché, come…non ci è dato saperlo. È questo lo strazio che lacera Heisenberg (a costo ripeterci, interpretato magnificamente da Massimo Popolizio, che incarna perfettamente i dubbi e la disperazione del suo personaggio), che lo lacera in quanto uomo, in quanto fisico, in quanto tedesco. Frayn presenta una sua ipotesi su questa figura, su quanto egli abbia influito sul fatto che la Germania non sia riuscita a costruire la prima la bomba atomica. Cosa lo spinse ad agire come ha agito? Difficile uscire dal teatro senza sentirsi spaesati. Eppure, la vicenda ha una conclusione ben definita, e alla domanda “cosa si dissero?” è data risposta. No, non sono gli avvenimenti a lasciarci dubbiosi. Sono i personaggi a farlo: sono stati sinceri con loro stessi, con noi? O forse anche la sincerità è una scheggia impazzita, che raggiungiamo per un attimo e poi perdiamo?

Tomas Mascali