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Test sicurezza a Catania (Con rapina)

E’ la sera del 13 ottobre, un martedì qualunque a Catania. Sono le 23, quando lasciamo Piazza Duomo e, soli, ci incamminiamo per Via Garibaldi. Obiettivo: testare la sicurezza delle strade cittadine. Qui, in pieno centro storico, inizia e finisce il salotto buono della Città. Basta varcare il primo isolato, per andare oltre il vigile sguardo delle pattuglie dei militari. Di là dei mercati storici, soldati e carabinieri non vanno. E’ un errore, perché si perdono lo spettacolo di San Cristoforo. Il quartiere, con i suoi edifici trasandati e punteggiati di Barocco, abbraccia la Pescheria e il Castello Ursino, per poi svettare sempre più povero e antico, sulla cima di Porta Garibaldi. Sono palazzi e cortili con migliaia di famiglie, una città nella Città. Via Plebiscito sorprende. Basta incrociarla, per capire che è la ‘Via Etnea’ di questa fetta di Catania: agli occhi di chi ci vive, ne contesta il ruolo e il prestigio. Arriviamo in Piazza Palestro alle 23.25. San Cristoforo non ci ha ancora riservato cattive sorprese, semmai stupore e bellezza. “Il Fortino” non è da meno, illuminato com’è, nel far da schermo all’imbocco di Via Palermo. La gente del quartiere affolla la piazza fino a tarda sera. Attorno ci sono adolescenti in scooter e comitive di ragazzi, anche dei ‘quartieri bene’. Non passiamo inosservati: una grande borsa a tracolla fa il suo effetto, da queste parti. Sono le 23.35, è l’ora di riprendere a ritroso la nostra passeggiata verso Piazza Duomo. Via Garibaldi è deserta, se si eccettuano poche auto a un semaforo. Non vediamo militari o forze dell’ordine, a piedi o in auto. Abbiamo appena oltrepassato Via SS. Trinità, quando due uomini ci raggiungono in scooter. Alla guida c’è un ragazzo, poco più che maggiorenne.  Il complice che scende, agitando il coltello a serramanico, è un uomo sulla quarantina “alto 1,70 circa, con viso coperto da barba rossiccia”, come scriverà un ufficiale della Polizia di Stato. La colluttazione è breve: il tipo sa usare il coltello e noi preferiamo non rischiare. Quindici metri più in là, c’è un ragazzo che non è accorso alla richiesta di aiuto. Ci fa almeno telefonare, ma per dieci minuti il 113 è irreperibile. A mezzanotte, abbiamo uno sfregio alla mano, una borsa e dei documenti in meno. Non ci resta che raggiungere a piedi la Questura, per sporgere denuncia. Alla sede centrale, in Via Manzoni, due confusi poliziotti ci dicono che non possono far niente. Per chiedere l’intervento di una volante e denunciare l’accaduto, dobbiamo recarci al 44 di Via Teatro Massimo. E’ mezzanotte e trentacinque minuti, quando possiamo finalmente far mettere agli atti la rapina. Salvatore Trovato, sovrintendente della Polizia di Stato, ci accoglie sorpreso: “Perché non ha chiamato il 113?”.

Enrico Sciuto