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The Hurt Locker

Iraq. Dopo la morte dell’artificiere Thompson durante il disinnesco di una bomba, entra a far parte della squadra artificieri William James, un giovane che ha disinnescato oltre 800 bombe nella sua lunga carriera da volontario nell’esercito. James sembra non aver paura della morte, è freddo e apparentemente privo di sentimenti. Compie le sue azioni, spesso spericolate, nella più totale incoscienza. Mentre gli altri soldati contano i giorni che mancano al ritorno a casa, per James non esiste altro che disinnescare bombe. È quello il suo lavoro, è quella la sua vita.

A prima vista “The hurt locker” non sembra un film tale da far appassionare il pubblico femminile. Eppure Kathryn Bigelow ha fatto ricredere tutti. Sei statuette conquistate agli Oscar e sei ai Bafta britannici. Premi meritati.  Nonostante ciò però il successo di pubblico non è arrivato.

“The Hurt Locker” non è un film per tutti. Reale, mozzafiato, talvolta crudo. Riesce a far sentire all’interno dello spettatore la tensione naturale che si prova in momenti delicati, come il disinnesco di una bomba, in cui un minimo errore può significare la fine. La solidità e la veridicità di questo film sono anche merito dello sceneggiatore Mark Boal, che nel 2004 si è trasferito a Baghdad per vivere e seguire da vicino la routine quotidiana di un’unità speciale anti-bomba. Da lì è nato “The Hurt Locker”.

La Bigelow è riuscita, tramite un montaggio talvolta schizofrenico, immagini vivide ed inquadrature inusuali, a farci entrare nell’orrore della guerra, nella testa e nel corpo di un artificiere. Ci ha fatto provare l’alienazione e gli effetti che la guerra può avere sulla mente dell’uomo. Può portarlo alla pazzia o intorpidirla a tal punto da renderlo sprezzante verso la morte.

Diego Bonomo