Pubblicato il: 9 Luglio, 2008

Truman Capote. A sangue freddo

Si versano più lacrime per le preghiere esaudite che per quelle non accolte“. È questa l’epigrafe utilizzata da Truman Capote, scrittore, sceneggiatore, giornalista, nella sua ultima opera incompiuta “Preghiere esaudite”. Essa sintetizza perfettamente la vita eccentrica e tormentata di Capote, che il film di Bennett Miller ci racconta sapientemente. Esso offre uno spaccato autentico degli anni che vanno dal 1959 al 1965.

Il 14 novembre 1959 un efferato delitto sconvolge una tranquilla comunità del Kansas, Holcomb: una famiglia di agricoltori, i Clutters, viene sterminata nella propria casa a colpi di fucile. Capote legge la notizia e decide di recarsi sul posto per indagare le reazioni della piccola comunità di fronte al brutale omicidio. È questo l’inizio della fine per Capote. Poco tempo dopo, infatti, vengono arrestati i colpevoli e l’iniziale intento di Capote si trasforma nel desiderio di realizzare non più un articolo ma il primo no-fiction novel, utilizzando la forma del romanzo per narrare fatti reali. Gli incontri con uno dei due detenuti, Perry Smith, gli permettono di scoprire sempre più la personalità dell’omicida e ciò fa Truman Capoteprovare empatia nei suoi confronti. Capote inizialmente vuole aiutare sinceramente Smith ma, man mano che il libro prende vita ed il successo aumenta, egli non vede l’ora di assistere alla conclusione della vicenda per poter terminare il libro. Perry diventa dunque un oggetto per la sua arte. Il 15 aprile del 1965 i due detenuti vengono giustiziati sotto gli occhi di Capote, che ha così una fine per il suo libro. “A sangue freddo” lo ha reso lo scrittore più famoso d’America, ma il rimorso per non aver fatto tutto il possibile per salvare i due lo inquieta profondamente. Egli comprende di aver anteposto la sua ossessione creativa al legame sincero che aveva stabilito con Smith. Le “lacrime versate” da Capote per le “preghiere esaudite” (la fine della vicenda e del libro) hanno avuto ripercussioni per il resto della sua vita. Non è un caso, infatti, che nei 19 anni successivi Capote non riuscirà a scrivere più nulla di completo e nel 1984 morirà in seguito a problemi d’alcolismo.

Miller ci propone un convincente ritratto psicologico di un Capote star dei salotti di New York ma distrutto e tormentato interiormente. Egli non vuole tanto proporre la solita biografia, quanto mostrarci l’anima di Capote uomo all’apice del successo ed all’inizio del declino. Straordinaria è l’interpretazione di Capote da parte di Philip Seymour Hoffman, che si è meritatamente guadagnato un Oscar ed un Golden Globe. Egli restituisce la figura di un dandy apertamente provocatorio ed ostentatamente omosessuale che colpisce per la perfezione delle sensazioni che riesce a mostrare, un uomo profondamente lacerato dalla sua stessa vita e dalla sua stessa arte.

Diego Bonomo

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