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Viva Robespierre

Maximilien Robespierre fu ghigliottinato a Parigi il 29 luglio di duecentoquindici anni fa. E’ un evento relegato all’archeologia della Storia, all’interesse di specialisti e romantici cultori. Come comprendere gli ultimi due secoli di Storia mondiale senza ricordare la vicenda della figura politica più rilevante tra quelle che hanno abbattuto l’Ancient Régime, ponendo i presupposti per l’avvio della civiltà borghese, delle sue varianti e contestazioni? Non facciamo fatica ad accorgerci dell’amnesia collettiva che ha avvolto la memoria della Rivoluzione Francese. Sembra tramontata oggi la democrazia, come reale e cosciente partecipazione al governo delle istituzioni che sovrintendono al bene comune. Ha ceduto il posto alla retorica e alle sue forme sempre più esautorate, prive di sostanza politica. La civiltà contemporanea vacilla sotto i colpi di un male: non è il relativismo di cui parla Benedetto XVI, ma piuttosto l’irrazionalità di quei meccanismi economici che, nel perseguire il benessere dell’umanità, ottengono soltanto la sua irreversibile alienazione, l’allontanamento dell’uomo dalla propria natura e la mistificazione dei suoi valori reali. Le relazioni sociali sembrano aver preso la forma di uno “stato di natura” hobbesiano, con solitudine, disgregazione delle coscienze e competizione. Paura, soprattutto. Sembra questo il sentimento più in voga, alimentato da governi abili nel fondarvi le loro fortune. Le ragioni dell’illuminismo, ben rappresentate dal pensiero e dall’opera dei giacobini, appaiono sempre più necessarie alla rigenerazione della democrazia. Robespierre pensava che il primo dovere di un legislatore fosse “formare e conservare la moralità pubblica, prima fonte di ogni libertà e virtù sociale”. La dimensione pedagogica del giacobinismo e la sua critica alla libertà senza etica del liberalismo rappresentano la chiave di volta di una società davvero libera e democratica. A che serve la libertà senza responsabilità sociale? Quest’ultima può divenire realtà solo col mantenimento dell’etica pubblica e con la concretezza del sostegno dell’uguaglianza. L’essenza del giacobinismo risiede nella radicale fedeltà ai principi di Egalitè e Fraternitè, realizzabili con l’accesso obbligatorio a un’istruzione pubblica e gratuita. Il mutualismo e la cooperazione conformano l’economia ai bisogni e alle relazioni umane, chiudendo il cerchio dell’edificazione di una società tollerante, inclusiva, dotata di un sistema giudiziario non punitivo. E’ un insegnamento da riscattare dagli errori ed eccessi, compiuti in circostanze storiche straordinarie. Chi ha voluto associarvi i prodromi del totalitarismo prende un granchio: il pensiero e l’azione dei giacobini rimasero sempre coerenti ai valori dell’umanesimo, rifuggendo l’<<alienazione rappresentativa>> dei totalitarismi. Con Robespierre e suoi, finì anche la Rivoluzione. Un anno dopo, l’abolizione della Convenzione repubblicana avrebbe preparato il campo alla restaurazione napoleonica.

Enrico Sciuto