Pubblicato il: 30 Luglio, 2012

80esima vittima nell’indifferenza delle istituzioni

sandra-lunardini Milano Marittima, 24 luglio 2012: la parrucchiera 47enne Sandra Lunardini si reca al lavoro come ogni mattino. Un pensiero, probabilmente, la turba: il suo ex, Gianfranco Saleri, 61 anni, dopo una storia durata dieci anni e conclusasi la scorsa primavera, non è ancora riuscito a farsene una ragione. Egli continua a perseguitarla e a fare violenze contro di lei, mentre un’intera cittadina sta a guardare e lo evita: nessuno vuole avere a che fare con un tipo tanto strano e violento, in tanti ritengono che possieda vistosi problemi mentali. Egli ha, inoltre, una passione per le pistole: possiede tre di queste ultime, legalmente registrate ed acquisite, ed anche se il porto d’armi gli è stato requisito da anni (non pagava più i contributi) egli era solito indossarle tutte e tre infilate nei pantaloni persino in spiaggia. Sandra è rimasta incastrata: assieme alla sorella Roberta lo ha già denunciato tre anni prima, e lo ha fatto di nuovo in seguito a diverse minacce di morte il 27 giugno di quest’anno, e persino il 19 luglio, pochi giorni prima di essere uccisa, dopo essere stata picchiata brutalmente nel salone davanti agli occhi delle colleghe. La sera prima, il 23 luglio, Gianfranco Saleri aveva perfino mandato un sms ad uno dei figli della donna (avuti precedentemente alla relazione con lui) annunciando il proprio suicidio. Roberta, preoccupata che lui si vendicasse con la sorella prima di togliersi la vita, chiamò i carabinieri. Gli elementi della tragedia c’erano tutti: un uomo armato, possessivo e tendenzialmente violento (aveva anche picchiato più volte la ex compagna durante la loro convivenza), una relazione finita male ed una ferita che brucia ancora, un’attività (il salone) in comune e, soprattutto, una donna lasciata sola dalle istituzioni. Nonostante le denunce, infatti, quella mattina del 24 luglio alle 9:00 Gianfranco Saleri entra nel salone di parrucchiera ed uccide la donna, suicidandosi subito dopo. Sandra è solo l’ultima vittima di 80 femminicidi già avvenuti dall’inizio dell’anno. E tante altre corrono i suoi stessi rischi, se consideriamo che 1 donna su 4 subisce violenze nel corso della vita e che molte di loro, rivoltesi alle associazioni femministe, sono costrette a cambiare città e regione per andarsi a nascondere in case protette, col terrore che il loro carnefice le ritrovi: mentre loro devono vivere come recluse, i loro aguzzini possono andare in giro a testa alta. Si cerca continuamente di spronare le donne a denunciare, ma a cosa serve? Le denunce di Sandra non hanno sortito alcun effetto, le istituzioni non proteggono queste donne e sembrano semplicemente attendere che le tragedie accadano. Per questo, la storia di questa donna va divulgata: perché non è solo un mostruoso esempio dell’inferno in cui molte donne vivono, ma anche di come le istituzioni stiano a guardare senza fare nulla e non offrano alle vittime alcuna garanzia né protezione.

Sara Servadei

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