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Roma ha paura, Alemanno eletto sindaco

Correva l’anno 1943. Il Duce, già sfiduciato dal Gran Consiglio del Fascismo, viene sostituito dal generale Badoglio alla guida del Paese e arrestato per ordine del re Vittorio Emanuele III. E’ il 25 luglio. Crolla la dittatura fascista, all’orizzonte sta per affacciarsi la guerra civile. In agosto decade anche il governatore di Roma, il “camerata” Giangiacomo Borghese.

Dal 1946, anno della proclamazione della Repubblica, fino ai giorni nostri, Roma non verrà mai più amministrata da un esponente della Destra italiana. L’incarico di primo cittadino della Capitale verrà assunto da personalità della Democrazia Cristiana, del Partito Comunista, del Partito Socialista, fino ad arrivare al centrosinistra post-ideologico della Seconda Repubblica. Mai un esponente del MSI (o della sua versione “modernista”, Alleanza Nazionale), erede naturale della tradizione repubblichina della RSI, riuscirà ad avvicinarsi al Campidoglio.

Da questo punto di vista, il 28 aprile 2008 segna una data storica e una svolta epocale per la città di Roma. Gianni Alemanno, candidato in quota Pdl ed ex-segretario nazionale del Fronte della Gioventù, raccoglie il 53,7% dei consensi e vince clamorosamente il ballottaggio con il candidato del centrosinistra, Francesco Rutelli, già sindaco della città dal 1993 al 2001.

Tra bandiere tricolori, caroselli di tassisti entusiasmati e saluti romani, Alemanno ha dichiarato soddisfatto che finalmente “Roma ha voltato pagina“, rassicurando che sarà “il sindaco di tutti”. Rutelli ha ammesso la disfatta, guardandosi bene però dal fare un’autocritica personale. “L’elemento decisivo di questa sconfitta è stata la ventata di Destra che, per il Comune di Roma, si è riassunta sulla questione sicurezza”, ha dichiarato. Insomma, la colpa sembrerebbe attribuita a quell’ala della coalizione, rappresentata dalla sinistra radicale, che sulla “questione sicurezza” ha sempre posto dei veti all’azione di governo. Il Pd non ha responsabilità, anzi gli va riconosciuta la ventata di cambiamento nella “dialettica politica”.

Rutelli probabilmente dimentica due fattori importanti: la decantata “novità” del Partito Democratico, evidentemente venuta a mancare nel momento in cui si ricandida un esponente che aveva ricoperto la stessa carica per 8 anni (mentre la sinistra radicale aveva espresso dubbi sulla scelta, preferendo una eventuale candidatura di Nicola Zingaretti, che tra l’altro ha vinto il ballottaggio per la presidenza della Provincia), e la mancanza di proposte alternative e ragionate a quelle avanzate da Alemanno. Mentre il candidato del Pdl, infatti, supportato dal fatto di cronaca della stazione de La Storta, indicava nell’immigrazione e nei campi rom i mali assoluti di Roma, Rutelli non è riuscito a trovare argomentazioni convincenti per controbattere, lasciandosi trascinare poi, negli ultimi giorni pre-elettorali, in sterili polemiche e generici proclami al “pericolo fascista”. Non del tutto infondati visti i precedenti giovanili del neosindaco, ma troppo fumosi e poco vicini alle reali esigenze dei romani.

Concluse le elezioni con la vittoria di Alemanno, gli elettori si aspettano, date le premesse (prontamente ribadite dallo stesso Alemanno), una vera e propria “caccia allo straniero”, con conseguente calo degli episodi di violenza compiuti da immigrati clandestini e rom. Vista l’impossibilità di procedere a deportazioni forzate, è molto più probabile che ciò che è stato annunciato accadrà solo nell’agenda-setting dei mass media. E i romani, convinti di aver fatto la scelta giusta, torneranno a vivere sereni, tranquilli e malinformati.

Fabio Migliore