Apice vecchia, la città fantasma
Apice è un piccolo centro posto al confine tra la provincia avellinese e quella beneventana. Oggi si divide in Apice Nuova e Apice Vecchia da quando, in seguito al terremoto del 1962, l’amministrazione comunale decise di far traslocare l’intera popolazione su una nuova parte di territorio. Da quel momento, tutto è rimasto inalterato: il tempo sembra essersi fermato in un’istantanea di 40 anni fa. All’ingresso della città vecchia c’è un castello normanno dell’ VIII secolo che fa da contorno all’intero abitato e da contraltare alle altre costruzioni per il modo in cui si conserva. Inoltrandosi nei numerosi vicoli, su per le stradine, si può notare come l’ambiente sia stato modificato solo dall’ineluttabile scorrere del tempo e dalla natura che, decisa, inizia a riprendersi i suoi spazi. È possibile percorrere queste strade, affacciarsi nelle abitazioni e rendersi conto di come tutto sia rimasto com’era. Scrutando tra le crepe delle case e tra i muri ammuffiti, inoltrandosi nelle diverse stanze, ci si immagina ciò che fu, come quelle vite apparentemente tranquille vennero scosse da un fenomeno improvviso e spietato quale un terremoto può essere: un’idea di vita interrotta che si ripercuote nel tempo e che oggi ti permette di distogliere lo sguardo dalla quotidianità, di sognare momenti mai vissuti. Le insegne dei negozi disegnate a mano sono ancora intatte, le case diroccate e invase dall’erbaccia; cantine ben conservate e vecchie automobili parcheggiate nei garage; la vecchia scuola elementare oggi è un deposito di rifiuti, mentre colpisce la stabilità della chiesa principale, innalzata alla memoria dei caduti della Prima Guerra Mondiale: tutto questo rischia di essere inghiottito dai colpi forti della devastazione. Si può immaginare cosa significhi far parte di un mondo che non c’è più, ma è difficile comprendere che cosa provi chi sa che il proprio posto rischia di restare sepolto, e con esso tutti i ricordi di infanzia e le memorie di vita. Questo borgo regala un miscuglio di emozioni contrastanti: il mistero e il fascino, il senso di abbandono ma anche una forte carica emotiva, provocata dalla presenza immaginaria di chi è stato costretto ad andarsene, costretto a lasciare la propria dimora. La desolazione fa capolino nel cuore del visitatore, ma addentrandosi nella memoria cresce un sentimento di ammirazione: tra gli edifici in rovina e un paesaggio naturale di rara bellezza, emerge lo stridore rammemorante della nostalgia per un posto abbandonato, escluso dai moderni canoni di aggregazione urbana. La nostalgia di come non si deve smarrire la memoria del passato; di come, a volte, anche le macerie possano essere utili per la ricostruzione. È questa la sua bellezza, è questa la sua unicità.
Massimiliano Mogavero
Archivio Fotografico
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