Apparenza: malattia del nuovo millennio
Qualche anno fa erano le magliette corte indossate esclusivamente con i jeans a vita bassissima che lasciavano intravedere cose spesso poco eleganti; oggi sono i leggins, portati con vestiti corti o addirittura come pantaloni, e le maglie lunghe, doppie, piene di pizzi e merletti. Ma come si suol dire, così è la moda: un susseguirsi continuo di stili diversi che portano tutti all’omologazione in nome di un marchio, un accessorio, un capo particolarmente in vista. Specialmente tra i giovani, la moda diventa un modo per mostrarsi, identificarsi, sentirsi accettati dai coetanei. Fighetti griffati, punk controversi, metallari borchiati o emo in nero sono solo alcuni dei numerosi stili in cui si conformano gli adolescenti di oggi, e si tratta di gruppetti che differiscono gli uni dagli altri soprattutto per i propri gusti musicali e per il modo con cui sono soliti vestirsi i soggetti che ne fanno parte. Si tratta di casi in cui il proverbio “l’abito non fa il monaco” non ci azzecca per nulla: è proprio il modo di vestirsi ciò che contraddistingue l’appartenenza al gruppo, e che diventa una vera e propria etichetta che definisce l’identità di un ragazzo. Legate a queste differenti modalità di vestirsi, infatti, ci sono una serie di caratteristiche della personalità che vengono incollate automaticamente su un determinato soggetto nel momento in cui egli adotta quel particolare stile. Ad esempio, da una persona che veste griffata ci aspetteremo che frequenti persone benestanti, passi tutti i weekend in discoteca e sia anche un po’ snob, mentre da un ragazzo che indossa anfibi e cintura con le borchie ci aspetteremo che suoni in un gruppo metal, denigri i prima citati fighetti e dimostri di essere un “duro”, scurrile e per nulla sensibile. Queste ed altre brevi descrizioni sul genere ci fanno ben capire la futilità di queste distinzioni: con la scusa di “esprimere sé stessi attraverso lo stile e gli abiti”, questi giovani altro non fanno se non omologarsi ad una moda, sia essa quella più “gettonata” o quella “alternativa”. Infatti anche essere alternativi è una moda: lo dimostra il fatto che la maggior parte di chi si professa come tale finisce per vestirsi e comportarsi come fanno tutti coloro che dichiarano di essere alternativi come lui. Inutile sottolineare come queste distinzioni fatte con lo stampino non possano in alcun modo rappresentare la molteplicità di aspetti della personalità umana: il giudizio su una persona non può limitarsi al modo con cui si veste o al tipo di musica che ascolta, perché un essere umano non può e non deve essere circoscritto ad una tendenza, o, peggio, ad uno stereotipo. Ognuno di noi possiede una varietà di sfumature diverse: perché omologarsi ad un genere? L’omologazione, diffusissima negli adolescenti che la utilizzano per far parte del gruppo dei coetanei, in realtà rende piatte ed opache le persone, schiacciandole ad un solo livello: quello dell’apparenza.
Sara Servadei