Pubblicato il: 13 Gennaio, 2009

Britpop, 1995: l’anno della consacrazione – I^ parte

britpop_2Alla fine del 1994 tutte le band che da un anno si trovano inaspettatamente catapultate sotto le luci della ribalta della musica inglese, nominate puntualmente nelle colonne dei settimanali musicali, tornano in studio. Viene pubblicato a Marzo il secondo album dei Radiohead. Reduce da un debutto sottotono, Pablo Honey, salvato solo dal singolo Creep, la band di Oxford, abbandona gli echi grunge dell’opera prima, creando un condensato di melodie e riff di chitarra in puro stile british invasion, con l’aggiunta però di introspezione e sensibilità voyeuristica, un filone fino ad allora inesplorato nei territori edonistici dei primi anni ’90 britannici. La copertina del disco, immagine distorta del cantante Thom Yorke, doveva essere, nei piani iniziali, un polmone d’acciaio e il titolo dell’album, the Bends, letteralmente “Le decompressioni”, in senso più lato “La sindrome da decompressione”, dipingono con precisione  il periodo difficile del gruppo, seguito all’insuccesso precedente, come se la parabola dello stesso fosse già in fase discendente. Ne nasce una sorta di analisi sulla società di allora, evitando i facili entusiasmi, il positivismo esacerbato, la felicità endemica del movimento Britpop, preannunciando l’opera più completa del quartetto di Oxford, destinata ad apparire sulla ribalta da lì a 4 anni. Tracce come Fake plastic trees, accompagnata dal memorabile video ambientato in un supermercato, sempre più palcoscenico dello svolgersi quotidiano delle vite, Just, anch’essa resa celebre da un clip misterioso e profetico, My iron lung, Black star, costituiscono merce rara in un periodo di zappatori di terra quali i Supergrass, terzetto anch’esso oxfordiano, che, con I should coco, produce il perfetto album da pub inglese. Il titolo dell’album, slang cockney per dire “I should say so”, preannuncia un’opera definitiva. Il gruppo già esisteva da qualche anno, con il nome The Jennifers. Terminato il primo progetto, cambiando patronimico, nel 1994 esce il primo singolo, Caught by the fuzz, “Arrestato dalla Polizia”, autobiografica esperienza di un arresto per possesso illegale di marijuana. Il singolo, distribuito da una minuscola etichetta, riceve però l’apprezzamento di John Peel, leggendario deejay della BBC, che ne caldeggia, e ne favorisce, l’ascolto. Da lì, in un fiat, arriva il contratto con la Parlophone e l’uscita dell’opera prima, nel Maggio 1995. Come anticipato da Caught by the fuzz, i temi trattati, sempre sviluppati con una base rock’n’roll melodicamente inglese, ma strumentalmente di classico rock americano, spaziano dal possesso di droga e scherzi goliardici, ad autoanalisi ironiche, la mitica Alright, colonna sonora anche di tante estati italiane sottoforma di spot pubblicitario, da canzoni da viaggio con riflessioni esistenziali, Time, accompagnata da un video di livello amatoriale ma tanto rock, ad esperimenti leggermente psichedelici, la beatlesiana, unica ballata del disco, Sofa of my lethargy, fino alla chiusa acustica di Time to go. Canzoni coinvolgenti, riff di chitarra fulminanti, argomenti cazzari, alcool, droga, sesso, scherzi. Su tutte, farà storia la sola Alright, penalizzando forse le potenzialità del gruppo, annegate in un video musicale in cui i tre, con tanto di basettoni anni settanta, se la cantano girovagando in bicicletta, immagine imbattibile, ma quanto mai fallace e riduttiva, della leggerezza di quegli anni.

Federico Didoni

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