Pubblicato il: 5 Giugno, 2008

Caos Calmo

CaosCalmo In un’anonima giornata d’estate la vita di Pietro Paladini (Nanni Moretti) viene sconvolta per sempre. Sua moglie Lara muore improvvisamente, mentre lui non è con lei. Negli stessi istanti della tragedia, Pietro infatti sta salvando una perfetta sconosciuta (Isabella Ferrari) dall’annegamento. Per stare vicino a sua figlia Claudia (Blu Yoshimi), di soli 10 anni, Pietro decide di rimanere tutto il giorno fuori la scuola elementare ad aspettare il termine delle lezioni. Giorno dopo giorno, Pietro finisce per stabilirsi davanti la scuola, tralasciando il lavoro e suscitando lo stupore dei colleghi, del fratello Carlo (Alessandro Gassman), della cognata Marta (Valeria Golino), fino a quando non prenderà coscienza che il suo comportamento è solo un modo per non affrontare il dolore della perdita.

La sofferenza non entra mai in scena, o almeno non seguendo gli standard rappresentativi cui l’arte ci ha abituati: niente scene strazianti, nessuna superflua esibizione del dolore. Quello di “Caos Calmo” è legato ad una morte brusca e violenta, eppure di morte non si parla quasi mai. Solo Marta accenna alla fine assurda di sua sorella, ma soltanto per convincersi dell’esistenza di un colpevole. Pietro riesce a malapena a constatare che sua moglie aveva molte più scarpe di quanto lui credesse, però poi cancella tutti i messaggi della sua posta elettronica con un solo ed irreversibile clic del mouse: Lara non c’è più, e di lei non si deve sapere né parlare. Semplicemente, Pietro Paladini non sta soffrendo. C’è dentro di lui un silenzio improvviso, sceso senza tristezza e senza rimorso.

Seduto di fronte la scuola della sua bambina, rimane ad aspettare un dolore che non arriva. Perché non soffro? Neppure Claudia sembra soffrire, si addormenta serena e non piange mai. Sono queste le domande che Pietro deve porsi mentre lentamente lascia che la sua vita assuma punti di vista nuovi e inattesi. I giardinetti, la panchina, il gioco con il bambino down che passa di lì ogni mattina, Claudia affacciata alla finestra a salutarlo durante la ricreazione, la ragazza bella e dolce che porta a spasso il suo cane, le visite di amici e colleghi di lavoro che cominciano a riempire giornate intere trascorse lì davanti ad aspettare il suono della campanella. Pietro ha costruito così un massiccio diversivo, fatto di abitudini e ritualità, per non fermarsi a pensare a quel giorno d’estate in cui la sua vita è cambiata. Oltre la scuola, oltre Claudia, ci sarebbe il senso di colpa da affrontare, ci sarebbe il vuoto da guardare in faccia e metabolizzare. Meglio rimandare e crogiolarsi ad osservare un pezzo di mondo fino a poco tempo fa sconosciuto, ora il più affidabile degli scudi contro il dolore. L’esperienza del vuoto affettivo viene fotografata, viene in qualche modo recepita dal nostro eroe, ma completamente svuotata del suo contenuto affettivo. Quando il dolore è troppo forte, spesso l’unica soluzione è rimuoverlo. Pietro vive perciò in quell’annullamento affettivo che gli consente di tenere in piedi i precari equilibri della sua esistenza.

L’estate si avvia pigramente al suo epilogo, ottobre porta con sé le prime foglie di un autunno incalzante, ma lui è ancora lì, fermo e inamovibile a dispetto dei consigli di chi gli vuole bene, il fratello scapestrato, la cognata instabile e un po’ folle. Sulla panchina riceve visite di chi con lui ha da condividere un dolore o una preoccupazione, incassa abbracci mai di circostanza, segue le travagliate vicissitudini della sua azienda, stila puntigliosi elenchi delle case in cui ha abitato, delle compagnie aeree con cui ha viaggiato, mentre i cambi di stagione scorrono a preservarlo sempre più da ogni possibile fragilità. Se Claudia non soffre forse è perché tu non soffri abbastanza – gli fa notare Carlo. Quando però la bambina gli confessa un po’ imbarazzata che i suoi compagni di classe la prendono in giro perché lui se ne sta tutto il giorno su una panchina ad aspettarla, per Pietro vuol dire presentarsi nudo alla realtà del dolore e, paradossalmente, sciogliersi in un sollievo. La corazza frana di colpo nelle poche parole della figlia. E se il silenzio non fa più paura, è perché non contiene più il ghiaccio che lei si teneva dentro. Il momento in cui il dolore fa la sua comparsa, allo spettatore è dato solo modo di intuirlo attraverso le impercettibili espressioni del volto di Pietro e i suoi gesti improvvisamente dissepolti dal torpore dell’impassibilità. La regia di Antonello Grimaldi si tira indietro con garbo e la macchina di Pietro mettendosi in moto si allontana per sempre da quel palcoscenico di perfezione, artificio psicologico costruito a tutela della fragilità di Claudia, che ora non ha più ragione d’essere.

L’omonimo romanzo di Veronesi, da cui il film è tratto, rivive abbastanza fedelmente nelle immagini e soprattutto nella composta calma di un Moretti perfettamente calato nei panni del protagonista. In tutti gli stati d’animo che lo scuotono, dall’indifferenza allo stordimento, dalla paura alla dolcezza, Moretti apporta una spontaneità e una velata ironia che lo rendono amabilmente detestabile. Anche nel modo di alternare senso di protezione e immoralità, il personaggio è sempre credibile nel suo manifestare la disperazione sotterranea che lo anima. E se il film può risultare a tratti un po’ ‘distaccato’ è solo perché ha saputo rispettare la percezione che si avverte leggendo lo splendido romanzo di Veronesi, insieme al costante desiderio di andare oltre le apparenze e leggere tra le righe. Perché “Caos calmo”, almeno la versione letteraria, è proprio il dolore che riesce ad arrivare oltre l’apparenza della sua assenza, è il dolore che già c’è, anche quando non si mostra neppure a chi lo prova.

Emanuela Perozzi

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