Pubblicato il: 18 Giugno, 2011

Catania: il CSM archivia il “caso Gennaro”

tribunale_cataniaL’archiviazione dell’ultima accusa, dopo vent’anni di esposti e veleni. Il plenum del Consiglio Superiore della Magistratura ha chiuso così, ieri mattina, il dossier riguardante il sostituto procuratore della DDA di Catania, Giuseppe Gennaro. Il magistrato, che da mesi è candidato all’ufficio che fu del procuratore capo Vincenzo D’Agata, è stato oggetto di un esposto, l’ultimo di una serie ventennale, inoltrato lo scorso mese di Febbraio. La lettera in questione era allegata ad una foto, risalente al 1990 e circolata sul web prima di essere ripresa dai giornalisti Giuseppe Finocchiaro su “RaiNews 24” e Giuseppe Giustolisi su “il Fatto quotidiano”. Vi si chiedeva di “fare chiarezza sui rapporti tra Gennaro e Carmelo Rizzo”, titolare di una ditta di costruzioni da cui il magistrato aveva acquistato una villa. La foto, scattata nel 1990, ritraeva il sostituto procuratore Gennaro seduto al fianco di Rizzo, costruttore puntese, destinatario sei anni dopo di un’ordinanza di custodia cautelare per concorso esterno in associazione mafiosa e assassinato, l’anno successivo, da un sicario del clan Laudani. Rizzo era all’epoca un vicino di casa di Gennaro, un soggetto ancora ignoto alle indagini e all’inchieste della magistratura. L’ex presidente nazionale dell’ANM, oltretutto, si è sempre difeso, affermando di “non aver mai conosciuto Rizzo, fotografato per l’occasione accanto a lui, del tutto casualmente”. Si trattava, secondo Gennaro, “della festa di cresima della figlia di una comune vicina di casa”. La vicenda dei rapporti tra il magistrato e il costruttore, poi rivelatosi esattore e prestanome del clan Laudani, era già finita al centro di un’inchiesta della Procura della Repubblica di Messina nei primi anni 2000. Un’indagine chiusa con una richiesta di archiviazione accolta nel 2004 dal GIP Maria Eugenia Grimaldi. Il decreto di archiviazione, in particolare, affrontava tutti i punti critici dei rapporti tra Rizzo e Gennaro. Tra questi, anche il caso della villetta che il costruttore avrebbe, secondo l’istanza dei detrattori di Gennaro, regalato al magistrato. Le indagini dei magistrati messinesi appurarono allora le origini dell’acquisto dell’abitazione, passando al setaccio bonifici e prestiti bancari. Gli assegni reperiti comprendono le cifre corrisposte ad Antonio Finocchiaro, amministratore unico della “Di Stefano costruzioni”, e alla stessa ditta, che avrebbe poi fabbricato su un terreno lottizzato da Vincenzo Arcidiacono. E’ con il geometra Finocchiaro e con l’Ingegner Paolo di Loreto che Giuseppe Gennaro nel 1987 aveva avviato le trattative per l’acquisto, essendo del tutto estraneo all’affare il costruttore Carmelo Rizzo. I magistrati hanno anche definito “congruo al valore dell’immobile” il valore dei pagamenti corrisposti, quantificati nella somma “di 220 milioni di lire”. Dalla disamina dei conti, si è risaliti agli assegni: nel 1989 Gennaro versò alla “Di Stefano costruzioni” due assegni da dieci milioni. Poi contrasse un mutuo da 70 milioni con il Credito Italiano per pagare gli ulteriori cento milioni di acconto. In seguito, il magistrato contrasse un mutuo da 25 milioni di lire con la Banca agricola di Ragusa, impiegò un prestito da 10 milioni ricevuto dal collega Papa e chiese all’ENPAS la cessione del quinto dello stipendio proprio e di quello della moglie. L’Ente, da parte propria, subordinò la concessione all’esibizione dell’atto definitivo d’acquisto.

Da qui la scelta di anticipare la stipula del contratto definitivo e, dunque, l’accordo concluso con Vincenzo Arcidiacono piuttosto che con la ditta costruttrice. Fin qui il caso della villa. Dal CSM, dunque, cala il sipario sulla stagione dei veleni intorno a Piazza Verga. Ma viste le acque tutt’altro che tranquille in qui naviga la Procura etnea, la faccenda non sembra ancora chiusa.

 

Enrico Sciuto

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