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“Catania, una città a metà”: intervista a Sigfrido Ranucci

Incrociamo Sigfrido Ranucci alla consegna del Premio “Giuseppe Fava”. E’ in procinto di ritirarlo, eppure su quel palco sembra quasi un passante. Ranucci è uno dei migliori giornalisti d’inchiesta italiani, e davvero non riusciamo a immaginarcelo in giacca e cravatta.

Che cosa ti ha spinto a occuparti di Catania?

Andando in fondo alle cause del buco finanziario, ci si rende conto che non è un problema esclusivamente catanese, poiché il deficit ha richiesto lo stanziamento di 140 milioni del Fas e, dunque, ricade sull’intero paese. Mi è parso di confrontarmi con un microcosmo, nel quale erano condensate tutte le storture della nostra società: il voto clientelare, l’intreccio tra mafia, politica e affari… Il caso catanese è poi l’emblema della crisi finanziaria che attraversa le grandi città del nostro paese.

E la sua specificità cosa ti ha suggerito?

Il voto clientelare, il fatto di dare tutto, esclusivamente per avere il consenso… Se c’è una lezione che mi ha dato, aiutandomi a capire moltissimo del nostro paese, è che in molti casi sarebbe meglio essere ‘inadeguati’: bisogna eliminare la ricerca del consenso fine a se stesso, optando invece per il bene comune.

Ciò che colpisce dell’inchiesta è la sua valenza politica: come il malgoverno di una città possa avere delle ripercussioni sugli interessi di tutti i cittadini italiani. Come pensi che sia stato accolto il tuo lavoro fuori Catania?

Scartabellando fra le cose della città, è emerso che a finanziare il MPA- uno degli artefici del buco con la gestione Lombardo- era la Lega Nord. Anzi: la Lega era l’unica ad aver ufficialmente finanziato il MPA alla sua fondazione, con un contributo di oltre cinquecentomila euro! Ciò è singolare. Gli ascolti televisivi sono andati molto bene, con punte anche del 18% di share. Quanto all’opinione pubblica, non mi pare abbia suscitato un dibattito adeguato.

Com’è partito il lavoro d’inchiesta?

Ci siamo chiesti come fosse stato possibile un tale deficit finanziario. Da qui, siamo risaliti ai documenti e, per ognuno di questi, alle fonti. Si tratta di atti pubblici, totalmente aperti; non abbiamo ‘rubato’ nulla. Si trattava di ricostruire un puzzle, le cui tessere erano rotte o poste alla rinfusa. La Sidra, ad esempio, era la società partecipata col debito maggiore, dunque bisognava andare a vedere le cause. C’era tantissimo da raccontare, ma i tempi televisivi ci hanno costretto a soffermarci soltanto sugli aspetti più eclatanti.

Visionare documenti pubblici, per chi fa il giornalista a Catania, è spesso difficile. Le istituzioni si chiudono a riccio. Vi siete avvalsi della forza mediatica dell’editore?

Questo no. Quando usi la parolina “Report”, trovi spesso molte porte chiuse, se non c’è qualcuno che abbia voglia di denunciare. Fare un’intervista, nell’ambito di un’inchiesta per il programma, è diventato molto difficile. Devo dire, tuttavia, che l’ex sindaco Scapagnini è stato molto disponibile. Mi è parso un tipo simpatico, anche se qui non lascerà un buon ricordo, come amministratore.

Tu sei romano. Come hai vissuto tutta quest’attenzione, intorno alle anomalie della festa di S. Agata?

Per com’era messa in scena, mi è parsa il preludio ideale per raccontare la città di Catania. La circostanza di trovarsi in piazza, al grido di “tutti devoti tutti”, mentre a gestire alcuni affari c’era la mafia; il fatto che tutti sapevano e, tacendo, consentivano alle cosche di lanciare un tale messaggio di potere… Tutto ciò mi ha suggerito che la festa fosse il modo migliore per rappresentare le contraddizioni di Catania. Questa è una città straordinaria, ricca d’intelligenze e intuizione, che purtroppo si lascia influenzare negativamente dal fenomeno criminale. Forse, le metafore più potenti di tale situazione sono quelle grandi opere lasciate a metà. Quando penso a Catania, mi viene in mente l’immagine di questa città con grandi potenzialità, ma che rimane sempre a metà.

Come vivi l’assegnazione di questo riconoscimento, intitolato a un grande catanese?

E’ un onore inaspettato, poiché non mi occupo spesso di mafia. Il fatto che venga recuperata la memoria di un giornalista, e di un intellettuale di questo calibro, è una cosa importante. Oggi, la memoria viene sempre accantonata. Per giunta, l’informazione produce troppo spesso una notizia che definirei “orfana”, cioè priva di un padre e di una madre. E’ il modo peggiore per raccontare i fatti, perché così sembrano venire dal nulla. No, un fatto ha una sua storia. Se noi riusciamo a raccontarlo, anche attraverso la memoria del passato, riusciamo a conferire alla notizia una forza straordinaria.

Enrico Sciuto