Chi c… credi di essere?: è concesso dirlo al datore di lavoro
Se il capo provoca, è permesso offendere. Sentenza della Cassazione: «Non merita il licenziamento il dipendente che reagisce ai numerosi rimproveri». È accaduto in una casa di cura di Napoli dove un addetto alle stoviglie ha risposto ai continui rimproveri del suo responsabile con la frase scurrile:’’ ma chi c**** ti credi di essere?’’ Messo alla porta, si è rivolto alla cassazione che ha difeso il lavoratore in questione. Secondo quanto stabilito, se durante una accesa discussione ci si rivolge al capo in questo modo di certo non si eccelle in buona educazione ma, di sicuro, non si può essere licenziati. L’espressione dunque è stata ritenuta irriguardosa ma non minacciosa ed è stata considerata come “effetto di una reazione emotiva ed istintiva del lavoratore ai rimproveri ricevuti dal capo”. Per tali motivi non si può giustificare un licenziamento. Non sono mancati i ricorsi da parte della casa di cura ‘’Alma mater’’ che non si è mostrata di certo d’accordo con la sentenza e controbatte sostenendo la negligenza del lavoratore durante i suoi servizi e come, nonostante i richiami e le sanzioni disciplinari passate, non abbia fatto nulla per rimediare. Ma il caso non si concluderà qui e sarà riesaminato dalla Corte d’appello, che dovrà valutare se precedenti sanzioni disciplinari riportate dal lavoratore possano aggravare la sua posizione e motivare la sanzione più grave richiesta dalla casa di cura. Fin qui la Cassazione si è mostrata comprensiva nei confronti dei dipendenti vittime dei datori di lavoro troppo esigenti. Forse anche troppo.
Caterina Tipa