Pubblicato il: 3 Ottobre, 2008

Chi ha ammazzato robert allen zimmermann?

Era un’epoca di cui non ho memoria, un’epoca che non ho vissuto! Erano gli anni ’60. Uno scrittore, a me caro, Chuck Palahniuk, suole ripetere “ciò che si vuole cancellare del passato si è costretti a viverlo nel presente”. Chissà che non abbia ragione; chissà se si potranno rivedere stuole di giovani, di ragazzi che coprono piazze, strade; che occupano scuole, che si barricano di fronte alle aziende, alle istituzioni, contro chi ci impone l’acquisto di un cellulare a bande larghe, contro chi ci garantisce e ci assicura la libertà attraverso una webcam che spia ogni nostro respiro, contro chi capitalizza i nostri pensieri, i nostri ideali.

Allora voglio chiudere gli occhi e voglio far finta di vivere quel periodo, mi voglio immaginare nelle piazze ad ascoltare le parole di un robert; di un ometto, di gracile statura, che portava con sé il mito di una generazione. Le sue litanie tanto biascicate da esser definite “talking blues”, grazie alle quali trasferiva in musica l’alienazione e la disperazione della sua generazione. La sua voce era cattiva e sgradevole, un piglio caustico e arrogante. Album come “freewhelin” del 1963 gli conferivano il carisma di leader della protesta pacifista e di profeta generazionale e “blowin in the wind” diventa lo stereotipo di quell’America che vuole essere pacifista. Portavoce allora  di un nascente e, sembrava, imperituro e sempiterno movimento studentesco al grido “you don’t need a weather man/To known which way the wind blows“, non hai bisogno di un metereologo per sapere dove spira il vento! Il suo personale valzer, le sue urla continuano a tempestare, a pervadere sugli stati d’animo di quella generazione che come una grande ola partiva dai movimenti di New Orleans fino ad arrivare ai movimenti del maggio francese….a hard rain’s gonna fall… monito espresso sulle possibilità di un conflitto nucleare; the master of wars, i fabbricanti di armi..altro inno portavoce di pace contro la tirannica e dittatoriale guerra degli Stati Uniti contro il Vietnam.

Probabilmente a consacrarlo è stato l’album del ’63 “freewhelin” (a ruota libera) nel contesto del quale scorre melodiosa quella blowin in the wind, che attraverso tre semplici strofe il compositore riesce ad interrogarsi su precise tematiche  sociali ed esistenziali, ed in particolare sul senso della condizione umana e sull’incapacità dell’uomo a ripudiare la guerra  in maniera definitiva e totale. Un poeta con un attivo di 54 album, l’unico cantante della storia del quale sono state utilizzate , prodotte e riprodotte, da vari artisti, 150 delle sue canzoni. Gruppi come: guns ‘n roses, Rolling Stones, Aerosmith, Eagles, The Smiths, The Kings, Pink Floyd, Pearl Jam; cantanti come: Springsteen, Jim Hendrix, Cat Stevens, Bob Marley, Elvis Presley… e se vogliamo citare il bel paese abbiamo presenti all’appello: De Gregori, De Andrè, ecc. Poeta al quale vengono dedicati 20 film-documentari tra i quali sicuramente il più importante  nel 1976 “The Last Waltz” diretto da un emergente Martin Scorsese. Di fatto questo ragazzo rimane, pur sempre, un essere umano e non gli si può attribuire, ordalicamente, una potestà di perfezione, innocenza e genuinità. Come tutte le stelle si è destinati verso un tramonto più ideologico che musicale, e lui imprigionato nel suo stesso mito, si autoproclamava ed autoconsacrava come il nuovo messia, diventava il primo fan di se stesso. Ricordo il periodo della sua conversione al cristianesimo; conversione che durò tre anni ed alla domanda di un giornalista del perché decise di riconvertirsi alla religione ebraica il sommo poeta decise che la risposta più adatta da fornire fosse: Gesù predicò per tre lunghi anni, non vedo perché non dovrei farlo io!”

Credo che Vision of joanna, Just like a woman, Corina corina, Oxord town, Song to woody, Hurricane, I shall be free, parlino già per lui, per noi, e non occorre alcun commento; solo quella piacevole sensazione di rimanere ad occhi chiusi e, sempre immobili, sembra poter abbracciare l’infinito in un tempo senza spazio. Musica è arte, è vita, espressione, emozione, passione….libertà! o come disse Charlie Parker, l’unico modo per comunicare con dio; e questo ometto, con quella voce sgradevole e cattiva, sembra sia riuscito a sostituire la preghiera con la voce e una chitarra. Solo che una volta aperti gli occhi non mi resta che accendermi una sigaretta e vivere l’illusione che tutto sia successo; che, magari, avrei potuto esserci e avrei potuto raccontare ai miei figli o che robert allen zimmermann non è mai esistito  e che tutto ruoti attorno un fantoccio di 33 giri sul quale alcuni si son voluti arricchire scrivendoci sopra: Bob Dylan!

Adriano Fischer

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