Copenaghen di Michael Frayn
A grande richiesta torna a Udine e in tournée italiana, dal 20 febbraio al 10 maggio 2009, “Copenaghen”, fortunatissimo intreccio di scienza e politica, storia e finzione di Michael Frayn, oggi rappresentato in tutta Europa e nel mondo e prodotto dieci anni fa per la prima volta in versione italiana dal CSS Teatro Stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia. Quali devono essere i rapporti fra potere politico e scienza? È giusto che il progresso venga condizionato da scelte etiche? Quali sono i limiti e le responsabilità umane di chi si dedica alla ricerca scientifica? Sono interrogativi che segnano momenti importanti della nostra storia sui quali si sofferma anche lo straordinario testo teatrale di Michael Frayn, autore della fortunatissima commedia sul mondo del teatro “Rumori fuori scena” e di un’opera documento sulla Germania di Willy Brandt come Democracy. Al pari di “Rumori fuori scena”, anche “Copenaghen” è già diventata una piéce di fama mondiale, un grande classico del teatro contemporaneo tradotto e messo in scena in oltre trenta Paesi, in più versioni teatrali, operistiche e anche in un adattamento per la tv (con Stephen Rea e Daniel Craig).
“Copenaghen” – opera concepita nella patria dei dilemmi amletici – è un’incandescente disputa etica e scientifica a tre voci, densa di angoscianti riflessioni e interrogativi alla vigilia del primo devastante uso della bomba atomica. La vicenda è ambientata nel 1941 nella capitale nordeuropea e ricostruisce l’incontro, in una Danimarca occupata dai nazisti, di due scienziati, entrambi premi Nobel, un tempo maestro e allievo. Due ex compagni di ricerche costretti dalla guerra a guardarsi come nemici. L’ebreo danese Niels Bohr (il padre della fisica quantistica, interpretato magistralmente da Umberto Orsini) e il tedesco Werner Heisenberg (che formulò per primo il Principio di Indeterminazione e a cui dà vibrante intensità Massimo Popolizio) e a fare da ago della bilancia Margrethe, la moglie di Bohr (un’eccellente Giuliana Lojodice), si ritrovano ritratti nella pièce come fossero fantasmi ritornati dal passato, imprigionati in un labirinto di domande che stentano a trovare risposta, sommerse come sono da ambiguità e percorse da dubbi estenuanti sul rapporto fra potere, scienza e morale.
Irene Stumpo