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Copenhagen, spettacolo utile

«Se nel cielo divampasse simultaneamente la luce di cento soli, sarebbe come lo splendore dell’Onnipotente. Sono diventato Morte, il distruttore dei mondi.» – verso del testo vedico Bhagavad-Gita citato da Oppenheimer durante il test nucleare Trinity nel Luglio del 1945. Lo scorso 5 maggio, nel Coro di Notte dell’ex Monastero dei Benedettini, si è tenuto l’incontro con l’attore Umberto Orsini, protagonista (insieme a Giuliana Lojodice e Massimo Popolizio) della commedia “Copenhagen” di Michael Frayn, in scena dal 28 Aprile con la regia di Mauro Avogadro. Presenti anche il professor Di Grado, docente di Letteratura italiana, e il fisico Renato Pucci. Attraverso tre differenti punti di vista – quello del fisico, quello dell’umanista e quello dell’attore – si indaga l’opera teatrale e la sua “utilità”. Il prof. Pucci legge quindi l’opera come un tentativo di trasposizione del principio di Heisenberg sul piano storiografico: tutte le ipotesi portate avanti insistentemente durante lo spettacolo non sono valide sempre e comunque, sono sfuggenti ossia indeterminate, proprio come le particelle; lo stesso Pucci, pur dichiarando il proprio apprezzamento per la pièce, sottolinea come, purtroppo, quell’interrogativo morale che si suppone attanagliasse i grandi fisici, artefici della mostruosa creatura nucleare, abbia avuto nella realtà storica un peso meno schiacciante che nell’opera. Secondo il prof. Di Grado, questa rappresentazione coniuga superbamente due mondi- quello scientifico e quello umanistico- sentiti come lontani o addirittura inconciliabili fra loro dalla maggior parte dei letterati del Novecento, fatta eccezione per Sciascia, che ne “La scomparsa di Majorana” si occupa, attraverso un saggio investigativo, della sparizione del fisico siciliano avanzando un’ipotesi estrema che Copenhagen sfiora appena: forse il fisico, resosi conto delle conseguenze disastrose che la bomba atomica avrebbe avuto, volle abbandonare quegli esperimenti e secedere. Ma anche questa è un’ipotesi, instabile ed irrequieta, una domanda che non può avere risposta: l’indeterminatezza ha segnato tutto il nostro secolo, i fisici sono stati i primi a prenderne coscienza ed i letterati hanno balbettato l’angoscia profonda derivante da questa terribile realtà che, eccezion fatta per il grande critico Debenedetti, non hanno ancora compreso appieno. A conclusione dell’incontro, l’attore Orsini spiega come la fascinazione di questo spettacolo consista nel riuscire a coinvolgere un pubblico non avvezzo a discutere di fisica attraverso un dialogo, insieme logorroico e pregno di silenzi, un dialogo fortemente appassionato, “come se gli attori stessero discutendo di calcio”; in questo modo, si realizza la funzione culturale dell’attore moderno: informare lo spettatore, aprire una finestra sulla storia e sul mondo, fornirgli un servizio culturale ed essere quindi utile. E se la realtà è indeterminata e inconoscibile, l’unico mezzo per l’uomo per affrontarla non può essere che il dubbio, dubbio amletico, dialogo di fantasmi, tortura della coscienza.

Ornella Balsamo